giovedì 7 novembre 2019

Il tuo sguardo illumina il mondo

Susanna Tamaro
 Questo libro è l’ultima pietra che portavo nella mia gerla, la più pesante, quella che era rimasta sul fondo. Ho dovuto infilare il braccio dentro, cercarla nella parte più buia, nascosta tra le foglie. Tra tutti i libri che ho scritto questo è stato l’unico di cui, fin dall’inizio, conoscevo la fine. Non c’era sorpresa possibile, né colpi di scena, né vie di fuga. La fine era la parola «morte», scritta accanto al tuo nome, Pierluigi Cappello, scandito come negli appelli a scuola. Appello al quale tu non avresti potuto più rispondere: «Presente!».

Questo libro è definito da un'assenza, quella di Pierluigi Cappello, poeta friulano, scomparso a 50 anni nell'ottobre del 2017. La Tamaro racconta della loro amicizia, delle loro affinità, di quanto li univa nonostante le differenze date dall'età (li separavano 10 anni) e di vita. Lo fa "scrivendo" all'amico scomparso, raccontandogli la sua vita attuale e passata, aprendosi (al lettore) come mai prima, probabilmente. 
E' un libro ben scritto, dove incantano le descrizioni della natura e della vita nell'eremo che l'autrice si è creata tra boschi e campagna (a volte persino troppo dettagliate) e vengono ricordate con nostalgia le tappe dell'amicizia con Cappello, e gli attimi di felicità della pur difficile infanzia della Tamaro. Un ricordo struggente in cui forse manca proprio il destinatario del volume, Pierluigi Cappello, che compare poco e non definito, salvo nelle ultime - tristissime - pagine, quando la morte si approssima e si prende la parte della protagonista assoluta. Una lettura che aiuta a capire meglio la "persona" Tamaro, in cui viene rivelato che la scrittrice ha la sindrome di Asperger, e raccontata un'infanzia triste, difficile e solitaria, a giustificazione di un comportamento schivo e riservato che la rende a volte antipatica e scostante.
Pierluigi Cappello
La lettura è piacevole (anche se a volte un po' ridondante per tutte le descrizioni naturalistiche) tranne quando l'autrice usa il libro per ribadire le proprie convinzioni su fine vita e sulla Legge 194 che scadono nello scioccante e che ci hanno unanimemente infastidito. Una manipolazione del lettore che ha solo tolto valore a un libro a tratti toccante. Ci è piaciuto? NI. Il libro è bello (e onestamente partivamo tutte prevenute), ma se lo scopo era quello di raccontare l'amicizia con Pierluigi Cappello allora non c'è riuscita. E' una biografia che non lascia spazio se non raramente alla figura dell'amico rimpianto. Se sia frutto di un'esigenza di elaborazione del lutto o un calcolo non lo sappiamo e forse non ha nemmeno importanza, dopo tutto.

Lascio spazio alla recensione di Monica, che ha scelto il libro e che di Pierluigi Cappello era amica d'infanzia.
A volte è difficile scrivere la recensione di un libro e quando “ci sentiamo dentro” quello stesso libro è ancora più difficile scriverlo. Susanna Tamaro non è mai stata una delle mie scrittrici preferite, ma ho voluto leggere questo libro che lei ha dedicato alla sua amicizia con il poeta Pierluigi Cappello scomparso nel 2017. Oltre ad essere un pluri premiato poeta, Cappello era per me Pier, un amico d'infanzia. Per questo mi è difficile parlare di questo libro che ho divorato, scansando qualche lacrimuccia, in una ventosa giornata d'inverno. Un libro malinconico, nostalgico. Un libro che è una sorta di lunga lettera, un'autobiografia, una riflessione sulla vita, sulla morte, sulla disabilità, sullo stupore infantile per la natura, sul progresso non sempre positivo. In questo libro ci sono i miei luoghi, la mia gente e quindi la mia vita, ma c'è anche Susanna Tamaro con la sua, difficile, vita. Sono convinta che ora potrò leggere i suoi libri da una diversa prospettiva. Per rendere più intenso “lo sguardo che illumina il mondo” consiglio di leggere prima “Questa libertà” il romanzo autobiografico di Pierluigi Cappello.

Ci si incontra il 10 dicembre 2019. Libro del mese è Una giuria di sole donne di Susan Glaspell.



lunedì 4 novembre 2019

Gli anni al contrario

Nadia Terranova
 Non abbiamo mai usato lo stesso dizionario. Parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito, ma almeno non avremmo continuato a incolparci per le nostre solitudini. Quando penso agli anni trascorsi mi sembra che siano andati tutti al contrario.

Siamo alla fine degli anni '70 a Messina. Due ragazzi come tanti si incontrano all'università, si frequentano, si innamorano. Due opposti che si attraggono: Aurora, studiosa e tranquilla, Giovanni idealista e ribelle. Stanno insieme perchè si amano, ma anche per affrancarsi dalle rispettive origini, dai loro padri. Di destra la famiglia di lei, di sinistra e borghese quella di lui. Presto Aurora si scopre incinta. Inevitabile, anche in tempi ribelli come gli anni '70, il matrimonio, e a breve Mara, la figlia molto amata da entrambi, quella a cui tocca chiudere questo breve romanzo che attraversa - sfiorandolo - uno dei periodi più difficili e tragici della storia recente dell'Italia: gli anni di piombo.

La storia di Aurora e Giovanni si svolge tra il 1977 e il 1989. Dodici anni che in cento pagine faticano a stare. Lo stile dell'autrice, asciutto e piacevole, aiuta la lettura, ma la brevità del testo non lascia spazio all'approfondimento, alla "Storia" che i protagonisti vivono facendosene segnare, ma che al lettore arriva attutita, a spizzichi e mozzichi che non saziano.

Una immagine icona degli anni di piombo.
Foto di Paolo Pedrizzetti.
E' la "Storia" che li divide? O semplicemente la vita? Aurora si getta nella vita di moglie e madre, Giovanni si dibatte tra famiglia e impegno. E spesso vince l'impegno, lascia Aurora e Mara in secondo piano. Vorrebbe, lui, fare la storia, esserne protagonista. Subisce il fascino della droga e delle "cattive" compagnie, che alla fine lo trascinano con loro nel baratro. Il matrimonio finisce, a unire Aurora e Giovanni rimane solo Mara. Alla fine vincono le differenze.

Aurora si riprende. Raccoglie i cocci e da lì riparte. Torna in Università, ricostruisce la sua carriera, la sua vita. Giovanni si perde quasi definitivamente.  Finisce in prigione, poi in comunità di recupero. E' con il lavoro in comunità che ritrova sè stesso, ma è ormai troppo tardi. Gli anni di droga e promiscuità hanno lasciato il segno: prima la sieropositività, poi l'AIDS conclamato non gli lasciano scampo.
E' vero che gli anni di Aurora e Giovanni sono andati al contrario. Non sono riusciti a rimanere assieme, a gestire vita, amore e famiglia. E quando potrebbero riavvicinarsi è troppo tardi.

Immagine panoramica di Messina
Un bel romanzo, troppo breve, in cui ci sono molti spunti ma non lo spazio sufficiente per approfondirli. Se sia stata scelta precisa dell'autrice o sia solo finita così perchè è il suo primo romanzo per adulti non lo sappiamo. Da qualche parte abbiamo letto che è un libro un po' autobiografico, che l'autrice è Mara, ma conferme non ne abbiamo trovate. Però è un libro che ci sentiamo di consigliare, magari alternondolo alla visione di La meglio gioventù di Giordana, che è stato spesso citato durante la serata.

Ho trovato una sola recensione:
Cristina 4 stelline.
La parabola di un amore che nasce e muore durante gli anni di piombo. Il periodo è interessante ma purtroppo la brevità del romanzo non consente approfondimenti o digressioni storiche che ne avrebbero fatto un testo di ben altra caratura.
Così è solo la storia, dal finale triste, di un amore che ha la peculiarità di attraversare, sfiorandolo, un periodo di grandi trasformazioni politiche e sociali del nostro Paese. Come succede al protagonista i grandi slanci non si traducono poi se non marginalmente in azioni e l'amore soffoca più per banale mancanza di impegno che per vere differenze tra i due amanti.
Dovessi giudicare di testa gli dovrei dare 2 stelline (ok, ma non memorabile), ma lo stile di scrittura è proprio quello che piace a me, e me lo sarei letto tutto in un fiato e in una sola seduta, se la mia - di vita - non si fosse intromessa.
Con difetti, ma proprio carino.


Prossimo appuntamento il 5 novembre. Libro del mese: Il tuo sguardo illumina il mondo di Susanna Tamaro. 






martedì 1 ottobre 2019

Insieme, e basta.

Anna Gavalda, l'autrice del mese
Anzi meglio di una vera famiglia, una famiglia che avevano scelto, voluto, per la quale si erano battuti e che in cambio chiedeva loro solo di essere felici insieme. No, neanche felici, d'altronde, ormai non erano più così esigenti. Di essere insieme, e basta. E già questo era insperato


Insieme, e basta, è una piacevole commedia romantica. Le vite di 4 personaggi alquanto strambi si incrociano per caso e i loro destini si legano per sempre.

Tanto era duro e difficile The mars room tanto è scorrevole e facile Insieme, e basta. Il nome dell'autrice - quasi iberico nel suono - è fuorviante. Anna Gavalda è francese, francesissima. Lo insegna pure, il francese. E molto francese è anche, nelle atmosfere e nelle ambientazioni, il suo libro.

Monica dice giustamente che sembra di guardare un film. Un film francese, appunto. Una commedia romantica e divertente, rarefatta e rilassante.

Riesce a emozionare, a volte, quando il racconto converge sull'anziana Paulette, e sul rapporto della donna con Camille. Sembra quasi che l'autrice abbia avuto esperienza di vita e di cura di persone anziane e bisognose di supporto. Ben descrive (e con che delicatezza) la perdita di autonomia e di orgoglio che subisce chi dipende dagli altri per la cura di sè stesso. Di orgoglio sia chiaro, mai di dignità che quella il bisogno non te la toglie di sicuro.


Parigi, e basta! Che meraviglia
Ma pesano, e tanto, i continui dialoghi e i tanti troppi troppissimi puntini di sospensione e una certa banalità nella trama. Sa un po' di già visto o di già letto.

Lo consigliamo: forse. E' un libro simpatico, anche se certo non è profondo.

Per una volta metto una annotazione personale: io si, nonostante tutto lo consiglio. Ho attraversato un brutto periodo, e questo libro mi ha fatto sorridere. E non ho dovuto pensare, leggendolo. Mi è scorso tra le dita come acqua fresca, e di quello in questo momento avevo bisogno.


Non fa pensare, se non di striscio. Ma a volte si ha bisogno anche di quello.

Due recensioni, al volo.
Monica, 3 stelline
Un film francese. Paradossale, a tratti emozionante, l'ho letto, ma è come se stessi guardando un film. La tipica surreale commedia sentimentale alla francese. A me piacciono i film francesi e quindi questo romanzo si merita tre stelline. Solo per quello.

Cristina, 2 stelline
Molto francese, molto scontato, abbastanza noioso. Ci sono alcune parti molto ben caratterizzate, quasi sorprendenti, che fanno pensare che l'autrice si sia effettivamente occupata di persone in difficoltà o anziane. Purtroppo si perdono in rigagnoli e rigagnoli di discorsi diretti e di insopportabili puntini di sospensione (...). Scontata la trama, ma con un bel finale molto carino.

A proposito: questo libro è anche un film e la protagonista Camille è interpetata da Audrey Tautou, l'indimenticabile Amélie Poulain de Il mondo di Amelie nientepopodimeno. Magari lo cerco. A chi interessasse il titolo italiano è Semplicemente insieme.

Ci si vede il 15 ottobre, solita ora. Libro del mese Gli anni al contrario di Nadia Terranova. 


 

giovedì 26 settembre 2019

The Mars room.

Rachel Kushner
Non sentirete mai nessuno definire comune l'aspetto di un uomo. L'uomo comune significa l'uomo medio, un uomo tipico, un lavoratore infaticabile e perbene che si dà da fare, dai sogni e dalle risorse modesti. Una donna comune è una donna da poco. Una donna da poco non merita rispetto e perciò ha un valore ben preciso, un valore da poco.

Romy Hall è una spogliarellista. Giovane, bella, sbandata. Nella sua vita ha pochi punti fermi. Uno è il figlio, Jackson, l'altro la prigione. Perchè Romy sta scontando un doppio ergastolo, senza possibilità di libertà vigilata. E mentre lei è in prigione, e la sua vita si intreccia con quella di altri prigionieri e con il personale del carcere, Jackson è fuori, solo e indifeso, in balia dei servizi sociali.

The mars room ci fa incontrare Romy nel suo viaggio verso la prigione dove sconterà la sua pena. Non sappiamo ancora di che delitto si sia macchiata, sappiamo solo che è stata condannata all'ergastolo. Già dal viaggio, dall'inumanità e dalla mancanza di empatia che accomuna prigionieri e carcerieri, è evidente la critica feroce dell'autrice al sistema giudiziario americano, un sistema che non consente speranza e redenzione, in cui se sei povero e donna, e se la vita non ti ha concesso sconti e possibilità, allora non avrai nemmeno quello che dovrebbe essere concesso a tutti - almeno sulla carta - ovvero una difesa efficace.

Non è un personaggio gradevole Romy. E' fredda e dura, e non alberga in lei alcun pentimento o ripensamento per il delitto che ha commesso, peraltro davanti al figlio che pure teneramente ama. Ma l'uomo che ha ucciso la tormentava, la seguiva, la "stolkerizzava". Arriva al punto di seguirla in un'altra città, ossessionato dall'idea che ha di lei e che ben poco ha in comune con la vera Romy che quando se lo trova davanti lo uccide. Uccide chi, per l'ennesima volta, le impedisce di rifarsi una vita, le toglie la possibilità di essere altro che la spogliarellista carina ma sbandata.

The mars room è un libro particolare, che piacerà a chi riesce a empatizzare con Romy, a riconoscere nel percorso di lei le storie di chi è nato svantaggiato e non è riuscito a farcela nonostante le avversità. Agli altri... probabilmente molto meno.

Carcere femminile della California centrale cui si ispira
quello del libro
E' un libro duro, come il tema che affronta, in cui gli spiragli di speranza sono pochi e rari. I personaggi sono tutti o quasi sgradevoli e l'intrecciarsi di più storie crea confusione tanto che a volte non si capisce chi sia il protagonista dei vari capitoli.  Più di tutto pesa la cappa di violenza e sopraffazione che permea il racconto: violenti sono i prigionieri tra di loro, le guardie con i prigionieri e con chi nel carcere lavora (come giustamente dice Annarita anche loro scontano il loro ergastolo, vivono isolati dal mondo come prigionieri pur non essendolo), persino chi nel carcere lavora per un breve periodo che forse lo fa per difendersi ma viene da chiedersi se valga la pena perdere la propria umanità per salvare un po' di orgoglio.

Consigliamo la lettura di questo libro? Dipende. Sicuramente non lo consiglierei a chi passa un periodo difficile, ma è un libro che - pur scomodo e pesante - forse dovrebbe essere letto per capire quanto si è fortunati ad essere nati dalla parte "giusta" della città (non occorre del Mondo).

Magari ce la facevamo ugualmente, ma sarebbe stato tutto più difficile.

Libro del mese di agosto: Insieme, e basta di Anna Gavalda.




domenica 21 luglio 2019

Il grande Bob

Georges Simenon
Che cosa si sa degli altri in definitiva quando non si sa granché di se stessi?

Bob è morto. Suicida. Una fine lucidamente pensata, inattesa da tutti. Bob il simpatico, Bob il piacione, Bob il clown si è dato la morte nella Senna, una domenica mattina, fingendo di andare a pescare. Ha fatto le cose per bene, cercando di farlo sembrare un incidente. Ma era grosso Bob, ha dovuto legarsi la corda due volte alla caviglia e lì si è tradito.
Ma chi era Bob, veramente?
A quanto pare non lo sa nessuno, non gli amici che ne conoscevano sfacettature ma non il passato, non la sorella che vedeva di rado, non le amanti che aveva, nemmeno la mogli Lulu, che lo amava e lo accettava per quello che era ma che non lo capiva.
La Senna a Tilly
Alla ricerca di chi era Bob, anzi, di chi sia stato il grande Bob, va il suo medico. Interrogando se stesso prima, e i vari conoscenti di Bob poi, il dottore scopre (almeno in parte) la verità su Bob e sul perchè si è ucciso. Una scoperta tutto sommato banale che è il motore che muove la storia ma che non ne rappresenta il centro. Quello è dato dal percorso, dalla vita dei vari personaggi che si affacciano alla storia e ci raccontano chi, per loro, era Bob. 
Una vita ai margini per molta parte di loro, come ai margini è il quartiere dove si svolge la storia. Non alta borghesia, non malavita, ma un mondo in bilico tra virtù in piena vista e vizi nascosti negli androni bui e negli appartamenti squallidi delle lavoranti.
Un palcoscenico in cui si muovono personaggi quasi tutti sgradevoli, primo fra tutti proprio la voce narrante del libro.
Ero tentato di dirle in faccia la verità una volta per tutte. 
 Di metterla davanti alla cruda realtà, davanti alla sua vera immagine e davanti alla mia. Forse abbiamo torto di non farlo.

Serata estiva a ranghi un po' ridotti. Eravamo in cinque da Miffi. Una serata come sempre piacevolissima, che ci ha visto discutere - ma non troppo - un libro del grande Simenon.
Autore prolifico (a dire poco) universalmente conosciuto per aver inventato il personaggio del Commissario Maigret, ha scritto centinaia di libri rimanendo però sciacciato, almeno in parte, dal suo personaggio principale. Destino che lo accomuna a altri famosi scrittori di polizieschi.
Dalla prosa scarna, ma piacevolissima, Il grande Bob non rientra nella produzione migliore dell'autore.
Nonostante i personaggi abbastanza sgradevoli (si salvano dall'ipocrisia generale e generalizzata la sorella di Bob e il figlio di questa e Lulu, che assume il ruolo di figura tragica del racconto) il libro scorre veloce e ha, tutto sommato, una fine soddisfacente per quanto banale. Una lettura piacevole ma non indimenticabile.
I personaggi di rilievo sono il medico - io narrante (che ha non poche ombre) e Lulu, la moglie di Bob. Giovane e sbandata, incontra Bob per caso e in un certo senso ne segna il destino anche se nelle decisioni di Bob non si intromette mai, limitandosi ad amarlo e accettarlo. Anche lei non lo conosce bene, dimostrando, se possibile, ancora di più la solitudine di un uomo che poteva avere tutto ma ha voltato le spalle a un destino sicuro e alto borghese mantenendo fede, fino in fondo, al ruolo che si era dato.
Alla fine Bob ha vissuto e è morto come ha voluto. Il suo tentativo di non far pesare il suo destino su Lulù però, non funziona. Lulù si lascia morire anche lei, per rimanere fedele al ricordo di lui. 

Libro del prossimo mese (se le ferie ci consentiranno di vederci) è Mars Room di Rachel Kushner. Scelto da Annarita.

Buone ferie a tutti.

sabato 22 giugno 2019

Mattatoio n. 5.

Kurt Vonnegut
E' così breve, confuso e stonato, caro Sam, perché non c'è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. 

Mattatoio n. 5, di Kurt Vonnegut, è dedicato al bombardamento di Dresda, avvenuto tra il 13 e il 15 febbraio 1945, ed è in larga parte autobiografico. 
Amercano, ma di lontane origini tedesche, Vonnegut partecipò alle seconda guerra mondiale come volontario. Prigioniero di guerra fu portato a Dresda dove assistette al bombardamento della città.  

Dresda - 1945
Rubo da Wikipedia:

Il bombardamento notturno della RAF creò una "tempesta di fuoco", con temperature che raggiunsero i 1500°C. Lo spostamento di aria calda verso l'alto e il conseguente movimento di aria fredda a livello del suolo, crearono un fortissimo vento che spingeva le persone dentro le fiamme .... Col passare delle ore, il vento caldo sempre più forte e l'altissima temperatura non permisero più alcuno spostamento: l'aria calda degli incendi dei vecchi quartieri attirava aria fredda dalla periferia, provocando una potentissima corrente d'aria che a tre ore dal bombardamento si trasformò in un ciclone. L'equipaggio di un bombardiere statunitense, tornato nelle ore successive, vide arrivare a 8000 metri travi di legno e ogni tipo di materiale, sollevato da una forte corrente ascensionale.

L'inferno in terra, probabilmente. 
Anche se il bombardamento non causò le 135.000 vittime inizialmente indicate (stime recenti parlano di 30.000 morti civili e mi paiono più che sufficienti), l'obiettivo sostanzialmente civile e l'inutilità dello stesso a fini bellici lo rese - all'epoca - uno degli episodi più criticati a livello di opinione pubblica. E' interessante, quindi, che ben poco se ne parli ora, anche se in parte può essere dovuto al fatto che Dresda ricadde nell'area sovietica, nel dopo guerra, tanto che la ricostruzione della Città prese impulso veramente solo dopo la riunificazione tedesca, nel 1989.

La scorsa serata eravamo ben nove a dividere il desco, in un torrido martedì di giugno. E' stata, come sempre, una bella serata.
Purtroppo non così bella la lettura...
Il libro lo hanno finito Marilaura, Cristina e Monica, ma con fatica. Se non sbaglio lo hanno letto anche Lia e Stefania (vado a memoria). Iniziato ma lasciato da Rita.
Trafalmadoriano 
La commistione tra fantascienza e racconto di guerra - per noi - non ha funzionato. Pur apprezzandone la struttura, l'ironia di alcuni passaggi e la capacità di illustrare l'assurdità della guerra partendo da episodi minori, i continui passaggi e salti temporali, la ripetizione infinita di alcune frasi e l'assurdità di alcune scelte narrative ci hanno stroncato.
Come dice Monica probabilmente è un libro che deve essere riletto per essere apprezzato. Peccato che nessuno di noi voglia farlo.

"Ma lei non ha intenzione di scriverlo, questo, vero?" Non era una domanda; era un'accusa. "Io... io non so" dissi. "Be', lo so io" fece lei. "Fingerà che eravate degli uomini anziché dei bambini, e poi ne tireranno fuori un film interpretato da Franck Sinatra e John Wayne o da qualcun altro di quegli affascinanti vecchi sporcaccioni che vanno pazzi per la guerra. E la guerra sembrerà qualcosa di meraviglioso, e così ne avremo tante altre. E a combatterle saranno dei bambini come quelli che ho mandato di sopra."

Due recensioni due:
Monica: 3 stelline e mezza:
La guerra è talmente una cosa assurda che descriverla cosí, scegliendo di alternare, su più piani temporali, il massacro europeo, i marziani e le visioni provocate da un incidente aereo, sembra una cosa senza senso. Non ho capito niente, ma credo che sia proprio questo il senso del libro. L'assurdità di molte umane azioni.
Cristina: 2 stelline
Lato positivo: è breve.
L'ho scelto come libro del mese del club di lettura di cui faccio parte. Sapevo sarebbe stata una lettura ostica ma per molti è stata davvero ardua.
L'ho finito e gli riconosco ottimi spunti e un certo qual fascino letterario che razionalmente trovo inspiegabile ma che persiste anche a conclusione della faticosa lettura.

Leggendo critiche e recensioni su Anobii e Goodreads direi che è un libro destinato a dividere, che non lascia però indifferenti. Più che il racconto è la commistione fantascienza - realtà che ci è risultata ostica. Uno stile probabilmente superato o comunque a noi non affine.

Libro del prossimo mese: Il grande Bob di Georges Simenon.


Si può ascoltare anche on line, sul sito di Rai Radio 3.

Ci vediamo martedì 9 luglio.

domenica 12 maggio 2019

Non lasciarmi

Fu quella l'unica volta, mentre stavo lì in piedi a osservare quegli strani rifiuti, sentendo il rumore del vento che attraversava quei campi vuoti, che mi feci trasportare da quella piccola fantasia; perché dopotutto mi trovavo nel Norfolk, ed erano passate soltanto due settimane da quando avevo perso Tommy. Pensavo ai rifiuti, alla plastica che sventolava tra i rami, alla linea di strane cose intrappolate lungo il reticolato, e allora chiusi gli occhi e immaginai che quello fosse il punto dove tutto ciò che avevo perduto dagli anni dell'infanzia era stato gettato a riva; adesso mi trovavo lì, e se avessi aspettato abbastanza, una minuscola figura sarebbe apparsa all'orizzonte in fondo al campo, e a poco a poco sarebbe diventata più grande, finché non mi fossi resa conto che era Tommy, e lui mi avrebbe fatto un cenno di saluto con la mano, forse mi avrebbe chiamata. La fantasia non andò mai al di là di questa immagine - non glielo permisi - e sebbene le lacrime mi rotolassero lungo le guance, non singhiozzavo né mi sentivo disperata. Aspettai un poco, poi tornai verso l'auto e mi allontanai, ovunque fossi diretta.

 E' Non lasciarmi del Premio Nobel Katzuo Ishiguro il libro del mese di maggio. Un libro dalla tematica importante e disturbante, un racconto distopico in cui si allevano cloni per poterli poi utilizzare come "donatori", usandoli fino alla "fine del loro ciclo".
Sandringham nel Norfolk, così mi immagino Hailsham
La voce narrante è quella di Kathy. Per due terzi del libro Kath racconta la sua infanzia e adolescenza trascorsa con i suoi due più cari amici, Tommy e Ruth, prima a Hailsham (un collegio immerso nella campagna inglese), poi ai Cottages. Una vita separata da quella delle persone normali anche se il motivo della diversità dei protagonisti viene solo accennata, sottesa. La rivelazione del destino dei ragazzi arriva durissima ma, come accade ai protagonisti, non inaspettata. Ishiguro accenna, sottende, e alla fine anche noi, come Tommy, Ruth e Kath diciamo: ma lo avevamo sempre saputo.
E' nella terza parte del racconto che l'orrore del destino dei ragazzi viene descritto: le operazioni, il dolore, la debolezza, la speranza - infranta - di poter ritardare il proprio fato. Ma anche qui non c'è ribellione, rabbia, un tentativo di fuggire: i protagonisti accettano il loro destino. Solo Tommy a un certo punto grida il suo dolore e la sua disperazione, ma è un atto inutile, subito sostituito dalla rassegnazione.

Il libro ci ha fatto discutere. I temi sono tanti. Il principale è forse: cosa fa di un essere vivente una persona? Tommy, Kath e Ruth hanno sentimenti, soffrono e amano, si chiedono chi sono e da dove vengono. Eppure vanno incontro al loro destino senza ribellarsene come farebbe chiunque. E anche chi li alleva, e li incontra, li tratta come oggetti o comunque non come esseri umani. I loro stessi insegnanti provano timore o orrore per queste creature a cui ovviamente non riconoscono umanità.  
Fin dove si deve spingere la scienza? E è ammissibile una scienza priva di etica? Chi deve decidere dove sta il limite, o è lecito di decidere se deve avere un limite?
Ci ha colpito anche una tematica meno evidente nel testo, ovvero la ricerca delle proprie origini, di sapere chi si è e da dove si viene. I ragazzi cercano - ognuno a modo suo - l'originale da cui sono stati ricavati, e sognano una vita normale. Sogni piccoli, comuni, destinati comunque a infrangersi nei centri di ricovero.
Ne abbiamo parlato davvero tanto, in una discussione interessante e costruttiva, che purtroppo non riesco a riportare come vorrei.
Se l'intento dell'autore è quello di far discutere l'obiettivo è indubbiamente raggiunto, meno quello di realizzare un libro riuscito dal punto di vista narrativo e stilistico.
E' un libro che agita le coscenze, ma non perfettamente riuscito, secondo noi. Lo stile è lento e piatto, e i personaggi risultano freddi e a volte anche antipatici. Difficile affezionarsi a Ruth, Tommy e Kath, così come apprezzare uno qualunque dei personaggi di contorno.
E' come se l'autore - a un certo punto - avesse perso il controllo del suo racconto o non sapesse benissimo dove condurre la storia.
Comunque un libro che fa discutere, ma la cui lettura, per la delicatezza della tematica trattata, deve essere una scelta individuale del lettore. Non siamo del tutto sicuri che lo rileggeremo, o regaleremo o anche solo consiglieremo ad altri.

Ho trovato la recensione di Monica (3 su 5)
Per anni ho evitato di leggere questo libro che mi era stato regalato tempo fa, ma quando è stato scelto come libro del mese nel gruppo di lettura che frequento, ho pensato che fosse arrivato il momento di affrontarlo.
La storia in sé è un pugno nello stomaco. Come di consuetudine non mi dilungo sulla trama in quanto questa si evince direttamente dalla scheda del libro.
Alla resa dei conti posso dire che sono arrivata alla fine, in poco tempo, e che il libro è meno truce di quanto pensassi. Ma è stata una lettura ansiosa.
Di Ishiguro ho amato particolarmente “Quel che resta del giorno” per la sua scrittura raffinata seppur “lenta”. Ma in questo libro, il suo stile mi è parso stonato. A meno che l’autore non abbia deliberatamente scelto questa scrittura apparentemente piatta, monotona, in cui le emozioni dei protagonisti non emergono affatto.
Non sono d’accordo con chi pensa che un libro come questo vada assolutamente letto, definendolo addirittura capolavoro e non riuscirei a regalarlo. La scelta di leggerlo o meno deve essere individuale.
Eppure è un libro che fa discutere, profondamente, di etica, scienza, progresso, immortalità e coscienza personale. 


E quella di Cristina (3 su 5)
Libro che mi lascia perplessa assai. Per due terzi è il racconto della vita di tre adolescenti pure antipatici con le loro baruffe, i loro amori, i loro dubbi esistenziali. Che siano immersi in una realtà alternativa è appena accennato e, francamente, nemmeno tanto importante. Loro stessi, di essere "altro" rispetto al mondo in cui crescono, non si interessano particolarmente.
Poi la realtà deflagra, e l'orrore del racconto si dispiega. Ma anche qui, senza particolare enfasi sulla situazione che viene accettata dai protagonisti come normale.
Appena un accenno di ribellione, quando tutte le speranze cadono, ed è tutto.
Tema importante, importantissimo, che coinvolge etica, la deriva della nostra società, fin dove deve spingersi la scienza, il rapporto che abbiamo con la malattia, il rapporto vita-morte, che non solo non vengono trattati, ma quasi nemmeno affrontati.
Potrebbe essere una geniale idea dell'autore, come un romanzo abortito a metà.
Boh.
Prima e seconda parte: 2 stelle
Terza parte 4 stelle.
Nel mezzo sta la virtù.
  


A proposito, dal libro è stato tratto un film, dal titolo omonimo.


Hanno anche realizzato la canzone che tanta importanza ha nel testo:







Ci si vede l'11 giugno.
Libro del mese: Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut.



sabato 4 maggio 2019

Una serata particolare...

Questa è la breve cronaca di una serata un po' particolare del nostro gruppo.
Avevamo programmato la solita riunione a marzo ma una serie di sfortunati eventi non solo ci ha messo i bastoni tra le ruote ma ci ha proprio mandato i piani all'aria.
Tra una cosa e l'altra rischiavamo di non vederci nemmeno ad aprile e poi chissà se saremo mai riusciti a rivederci
A questo punto abbiamo organizzato una serata atipica, chi viene viene, solo per incontrarci e farci gli auguri di Pasqua.
Si è rivelata una serata come sempre molto piacevole, in cui abbiamo parlato del club, del nostro desiderio di ampliare un po' anche le sfide di lettura e magari trovare nuovi membi, e cenato in un ristorante che è stata una simpatica scoperta.
A fine serata abbiamo mantenuto la tradizione, fissato l'appuntamento per la serata di maggio e pescato il libro del mese.
L'onere della scelta è ricaduto su Rita che ha proposto Non lasciarmi di Katzuo Ishiguro.


E del libro di marzo (poi aprile)? Orbene si, ne abbiamo parlato, ed è un libro simpatico che tira su il morale. Ha un grosso problema, però, ed è che è il secondo di una serie di libri che sta rapidamente ingrossandosi. Lo consigliamo? Ni. Se siete tristi e amanti dei gatti si, se cercate una lettura di spessore o che faccia riflettere, passate a altro.
Ci si vede il 7 maggio 2019, ore 20.00, da Stefania.

lunedì 4 marzo 2019

Louise. Canzone senza pause.

La gente dice di sè quel che non vorrebbe, forse per mettere a frutto il poco tempo rimasto, forse perché, dopo breve, nessun testimone sarà lì a ricordare.

La Storia, quella sui libri, è roba da uomini.
Si ricordano poche donne, e non sempre con il dovuto riguardo. Spesso contano più le "ombre" che i meriti, o l'anedottica: Cleopatra e il tappeto in cui si avvolse per arrivare a Cesare e l'aspide fatale, Elisabetta I d'inghilterra è nell'immaginario più la Regina Vergine che la regnante che fu. Delle altre tante, tantissime donne che ebbero un ruolo - anche di primo piano - nel lungo scorrere della storia si ricordano mariti e figli, quasi mai meriti e capacità. Pedine su una scacchiera, quasi mai giocatrici.

Eliana Bouchard ha il merito di illuminare una figura che, quando le va bene, viene ricordata come la quarta moglie di Guglielmo I d'Orange, quando le va male non viene citata affatto, quella di Louise de Coligny (1555 - 1620).

Sceglie il racconto in prima persona, e la voce di Louise ci raggiunge con la calma di chi ha attraversato momenti tragici, perdite enormi e vissuto sempre in bilico, sempre lottando, ma senza perdere mai forza e speranza.
Donna di notevole cultura (frutto di una educazione che aveva condiviso con i numerosi fratelli) e di salda fede, attraversa un periodo tumultuoso di guerre di potere e religione che la priva di padre, molti fratelli e due mariti (entrambi amati). La rete famigliare e di conoscenze le fa assumere un ruolo diplomatico di primo piano, anche se misconosciuto, che assume senza pause, tra Italia, Francia, Paesi Bassi e Svizzera.
Delle tante tragedie che la colpiscono forse quella che più si avverte è quella della mancanza di una casa, di un porto sicuro.

I porti non danno quel che promettono, ma rimettono in circolo quanto ricevono e capita che molti si sentano migliori, perché momentaneamente disponibili ad accogliere quel che respingerebbero altrove.

Per il racconto della vita di Louise de Coligny vi rimando al libro, scritto magnificamente, e alle varie fonti storiche, badando che per noi italiani gli Ugonotti sono praticamente sconosciuti. Si, si sa che ci sono stati, ma esattamente cosa subirono rimane ammantato nelle note a piè di pagina della memoria.

Il giudizio sul libro? Molto buono. Scritto benissimo, in uno stile che davvero sembra una musica, ha il pregio di unire dati storici e romanzo, ma senza che il romanzo abbia la meglio sulla Storia. Può quindi piacere un po' a tutti, anche se la copertina - pur bellissima secondo me - tende ad attrarre maggiormente l'occhio femminile, e l'appassionato di fiori ^_^.

Consigliato a tutti, vi incuriosirà abbastanza da andare a cercare altre fonti e altri racconti sul periodo, il che è un ulteriore, notevole, pregio.

Libro del mese di marzo Chopin. Tutto quello che so sull'amore l'ho imparato da un gatto di Eva Polanski.


Ci si vede martedì 19 marzo, stesso posto, stessa ora.

venerdì 25 gennaio 2019

L'unica (?) storia.

Abbiamo quasi tutti un’unica storia da raccontare. Non voglio dire che nella vita ci capiti una cosa sola; al contrario, gli avvenimenti sono tantissimi, e noi li trasformiamo in altrettante storie. Ma ce n’è una sola che conta, una sola da raccontare alla fine. E questa è la mia.

Inghilterra, anni '60 del secolo scorso. Cittadina imprecisata, a una quindicina di chilometri da Londra. Spinto dalla madre, il giovane Paul si iscrive al circolo del tennis. Durante un doppio misto incontra Susan, cinquantenne, sposata, con figli. E intreccia con lei una storia d'amore, quella che segnerà la loro vita per sempre. Non l'unica (ce ne sono sempre altre, o prima o dopo) ma quella più importante.

La storia ce la racconta Paul: forse non il tipico diciannovenne ma si crede più scafato di quanto non sia in realtà. Descrive ambienti e persone con un po' di spocchia, permettendosi giudizi sprezzanti sugli adulti che lo circondano. Ha con i genitori un rapporto improbabile per un italico genitore. Gli lasciano fare quello che vuole, e Paul se ne allontana senza se e senza ma, tanto che scompaiono presto dalla storia.
Susan sembra anticonformista come Paul. Lo porta a casa, nonostante la presenza del marito, ostentando la relazione con il giovane "cicisbeo" che chiama Bel-Ami. Ci vuole un bel pezzo di racconto per scoprire un po' di più chi sia Susan, il rapporto con il marito bevitore e violento, le sue debolezze e fragilità.
Quella che potrebbe sembrare una storia estiva ( Missis Robinson ricorda qualcosa?) si trasforma in amore vero.
I due vanno a vivere assieme. Un passo importante, enorme, fatto con non poche ambiguità: Susan continua a vedere il marito, mantengono comunque qualche apparenza (hanno due camere separate, non dicono apertamente di stare assieme, è Susan che mantiene la casa). Paul continua la sua vita quasi come prima. Quella che vede cambiare tutto è Susan, che non regge. Lo aveva detto Joan (personaggio memorabile): "non fare del male a Susan, tutto qui".

Ce lo dice chiaramente Paul: a quel punto aveva fatto la scoperta più tremenda della vita, quella che, con ogni probabilità, getta un’ombra su tutte le successive relazioni: la scoperta che l’amore, perfino il più ardente e sincero, può, se aggredito nella giusta proporzione, cagliare in un grumo di rabbia mista a pena.

Julian Barnes scrive benissimo. E il suo libro offre infiniti spunti di discussione: il più semplice riguarda le relazioni d'amore. Può un amore sopravvivere a una così grande differenza di età? Parrebbe di no, a leggere il libro, ma a volte invece la coppia regge (vedasi presidenti francesi ed ex insegnanti). L'alcolismo, anche. Quello del marito di Susan e quello di Susan stessa (peraltro descritto benissimo nel libro). Il personaggio di Paul lo abbiamo distrutto, poraccio. E un po' vigliacco lo è davvero, anche se non lo abbiamo del tutto condannato per aver lasciato Susan. Alla fine quello con tutta la vita davanti è lui, e Susan si sta rapidamente autodistruggendo.

Tirando le fila della discussione che è stata vivace e divertente, con Miffi a difendere il libro e noi un po' a stroncarlo (ma non troppo), il libro ci è piaciuto ma anche no. Come detto l'autore ha grandi capacità, e la storia parte bene, per poi spegnersi lentamente tanto che il giudizio finale è un "Meh" che vuol dire tutto e niente.
Lo so che non è una valutazione vera ma temo sia uno di quei libri che bisogna leggere e farsi un'idea propria.
Alla fine è stata Monica a dire la frase che più mi è piaciuta: Sto uomo scrive benissimo, che qualcuno gli dia una storia da scrivere. 

Ben due recensioni, siore e siori:
Monica, 2 stelle e mezzo
Per fortuna ci sono altre storie
Non c'è feeling fra me e Barnes. E mi dispiace. Perché scrive molto bene, ma cosa? Anche questo libro, che racconta l'incontro e l'innamoramento fra un diciannovenne e una casalinga della buona borghesia inglese negli anni '60, parte bene ma poi si perde e diventa solo un susseguirsi di pagine noiose. Inutile spreco di parole e filosofia spiccia sull'amore.

Cristina, 3 stelle
Inizio e fine di una storia d'amore destinata al fallimento sin dagli albori.
Giovane immaturo (e convinto di essere invece quello nato imparato) si innamora di signora di mezza età che dalla relazione - purtroppo - ha solo da perdere perché invece di godersi il giovane virgulto vigoroso (o presunto tale) butta a carte quarantotto la propria vita e fugge sull'onda dell'entusiasmo dell'innamoramento.
La storia (l'unica, apparentemente) ci viene raccontata dal giovane virgulto nella prima e seconda parte, dall'uomo adulto nel terzo e ultimo e scontato capitolo. Alla fine del libro il lettore non può che concordare con il protagonista quando ammette (anche se non chiaramente) che lui, della vita, non ha capito nulla. Quella che aveva capito era Joan. Non altrettanto Susan (l'attempato amore del protagonista). E a Susan tocca proprio il destino peggiore, non solo viene mollata dal suo giovane cicisbeo ma per giustificare la fuga di lui (eroico, resiste ben dieci anni) viene caricata di marito manesco, figlie ingrate e del vizio del bere.
Ecco, la discesa nell'inferno del bere è raccontata davvero bene. E tocca purtroppo ammettere che si, il protagonista ha fatto bene a mollare Susan. Non l'avesse portata con se in una situazione che negli anni sessanta-settanta sarebbe stata socialmente insostenibile per qualunque donna sarebbe stato pure meglio.
A Barnes va riconosciuta una scrittura davvero buona ma - almeno per me - delle trame non del tutto convincenti.


Ci si vede il 19 febbraio, solito posto solita ora. Libro del mese Louise. Canzone senza pause di  Eliana Bouchard.





lunedì 7 gennaio 2019

Il bene sia con voi!

La forza della vita, la forza dell'umano nell'uomo è enorme, e nemmeno la forma più potente e perfetta di violenza può soggiogarla. Può solamente ucciderla. ... In un'epoca di ferro, la vita, se anche muore, non è comunque sconfitta

In 61 anni di vita Vasilij Grossman ha attraversato due guerre mondiali (nella seconda è stato al fronte come corrispondente di guerra per quasi tre anni, entrando tra i primi ad Aushwitz) e le trasformazioni sociali e culturali di una Russia in cui essere ebreo è un marchio tanto quanto lo era per coloro che vivevano sotto il regime nazista. 

Nella sua esistenza ha quindi attraversato la Storia in tutta la sua crudeltà e in tutto il suo orrore. Tuttavia, dalla lettura dei suoi racconti si comprende che nonostante tutto ha ancora fiducia nel genere umano. Bellissimo il commiato alla fine di Il bene sia con voi! racconto che da il titolo al libro del mese di dicembre.
Che le montagne immortali si riducano pure a scheletri, l’uomo esiterà in eterno. Vogliate dunque accettare queste poche righe di un traduttore dall’armeno che non conosce l’armeno. È probabile che molte cose io le abbia dette malamente, non come avrei dovuto. Ma le abbia dette male o bene, le ho comunque dette con amore. Barev dzes-il bene sia con voi, armeni e non armeni.
Interni del monastero armeno di Geghard,
visitato da Grossman

Grossman è uno scrittore immeritatamente sconosciuto al grande pubblico. Merita conoscerlo, fosse anche solo per come ha vissuto la sua vita, per la visione critica ma non cinica del periodo storico in cui a vissuto, per il coraggio di dire sempre e comunque quello che pensava, pagando in prima persona il coraggio delle proprie convinzioni.

Il bene sia con voi! è una raccolta di racconti, un punto di partenza per conoscerne lo stile asciutto (da buon giornalista), ma non freddo. Come in ogni raccolta qualcosa ci è piaciuto di più, altro meno. Probabilmente il racconto lungo, quello che da il nome al libro, è proprio quello più noioso da leggere.

Non c'è stato un racconto "preferito", anche se il primo Il vecchio maestro, è forse quello dall'impatto emotivo più forte, così come La strada, storia di un mulo italiano portato sul fronte russo in cui si può riconoscere la storia di tanti nostri connazionali in periodo di guerra.

Nel complesso un buon testo, ma molto triste. Sicuramente non il capolavoro dell'autore ma un buon punto di partenza.

Una sola recensione, di Cristina (3 stelline):
Una raccolta di racconti, tutti più o meno dolenti, alcuni dolorosi. Il più corposo è quello che dà il titolo al libro ed è forse quello più indolore, da leggere: quasi un viaggio tra i sassi dell'Armenia, terra che pure lei, in quanto a dolore, non scherza..
La raccolta ha il pregio di essere un buon modo per conoscere un autore notevole non fosse altro che per il coraggio dimostrato nel ruolo di corrispondente di guerra prima, di autore poi, in una Russia sempre più antisemita. Delle difficoltà racconta brevemente proprio in Il bene sia con voi, racconto del periodo vissuto in Armenia a lavorare a una traduzione dall'armeno al russo del testo di un autore oramai sconosciuto (almeno a me).
Come in tutte le raccolte alcune cose ti piacciono di più (il vecchio maestro, La strada), altre di meno. I racconti più "sentimentali", quelli citati, mi sono piaciuti parecchio, in effetti, ma ho trovato piuttosto noioso proprio Il bene sia con voi.
Un autore da recuperare di sicuro, in un periodo più ottimista.


Prossimo incontro il 22 gennaio del nuovo anno:
Si legge L'unica storia di Julian Barnes.