Chiedo venia per il ritardo con cui pubblico questo post, ma quella appena trascorsa è stata una settimana faticosa e impegnativa e non sono riuscita prima di adesso ad avere il tempo e la concentrazione necessarie per scrivere questo articolo.
Oltretutto, visto che a casa mia la connessione a Internet avviene attraverso la chiavetta, me la devo contendere con mia figlia e mio figlio, entrambi adolescenti e quindi vi lascio immaginare la fatica che faccio per conquistarla per poche ore!!!
Comunque, tralasciando le mie vicissitudini da povera navigatrice del web, passiamo al resoconto della serata del 4 febbraio.
Mi sono ricordata di portare le casse del computer, quindi l'audio del collegamento con Berlino era abbastanza buono. L'unico inconveniente è stato il segnale, che andava e veniva.
Sentire la voce di Maria Grazia è stato strano. Sarà che non sono abituata a Skype ma ho trovato la cosa abbastanza surreale e certo non agevole.
Se si potesse trovare un posto più silenzioso... Non rinuncio all'idea di trovare un locale con connessione internet che abbia una saletta appartata solo per noi.
Presenti alla serata: Cristina, Daniela, Stefania, Marilaura, Rita, Francesca e collegata via Skype Maria Grazia.
Al gruppo si sono unite altre due persone, Chiara e Cristina, lettrici onnivore semprer da Berlino, ma non abbiamo avuto il piacere di sentire le loro voci perchè quella sera avevano altri impegni. Speriamo per laprossima volta.
Ma passiamo al libro: La casa dei quattro venti di Elif Shafak.
Intanto qualche notizia biografica sull'autrice.
Elif Shafak nasce a Strasburgo nel 1971 e vive la sua gioventù in Spagna
prima di far rientro presso la famiglia natale in Turchia, dove diventa
un’apprezzata accademica e una brillante scrittrice. Appassionata,
sensibile, anticonformista, è sposata con un impegnato giornalista
turco, dal quale è spesso costretta a vivere lontana, insegnando storia
mediorientale all'Università di Tucson, in Arizona, mentre il marito
lavora a Istanbul come caporedattore del quotidiano economico Referens.
Elif è una donna coraggiosa e ottimista, che ha dovuto affrontare un
duro processo con la richiesta di una condanna a tre anni di prigione
per aver "offeso il buon nome della Turchia", accusa giudiziaria che ha
accomunato decine di intellettuali, a cominciare dal premio Nobel Orhan
Pamuk, tutti minacciati di morte dagli estremisti nazionalisti.
L’oltraggio di Elif è quello di aver scritto un romanzo, La bastarda
di Istanbul, che narra la storia struggente di due famiglie
parallele: da una parte i nipoti di sopravvissuti al genocidio degli
armeni, perpetrato dai nazionalisti turchi negli anni della Prima Guerra
Mondiale; dall'altra il tentativo di cancellare, anche fra le mura
domestiche, qualsiasi traccia di quel massacro, persino del suo semplice
dubbio. Nell'inarrestabile infarto emotivo, si fa strada il desiderio
di conoscere la verità, qualunque essa sia.
Amica di Pamuk e dello scrittore turco-armeno Hrant Dink, assassinato a
Istanbul nel gennaio 2007, Elif rimane in prima fila nel chiedere
l'abolizione del famigerato art. 301 del codice penale turco, che
impedisce la libertà di espressione in Turchia. In compenso il suo
romanzo, elogiato dalla stampa e dagli altri mass media del Paese, ha
venduto in pochi mesi cinquantamila copie.
Il romanzo che abbiamo letto insieme tutto sommato è piaciuto.
Lo stile asciutto, scorrevole, semplice rende il testo assai piacevole da leggere e la storia narrata è indubbiamente interessante anche se presenta alcune ingenuità, alcuni personaggi che sono stereotipi, alcune circostanze che ne fanno quasi una storia fiabesca.
Honour è il titolo originale del romanzo e infatti la parola Onore ricorre in continuazione. Ma quale Onore? Quello imposto da una tradizione maschilista e distorta o quello dettato dai sentimenti, dal nostro dovere di essere felici? La risposta è ovvia!
Ma vi riporto i commenti che abbiamo scritto su Anobii, sicuramente più eloquenti di quello che posso scrivere io sola su questo romanzo che, tutto sommato, non mi ha lasciato niente se non un'immensa tristezza.
Commento di Maria Grazia
Passo da anni molto del mio tempo a chiedermi perché per la maggior
parte degli uomini, intere culture e molti che di quelle culture non
fanno parte, la capacità di camminare a testa alta non risieda in se
stessi ma nel vessare le proprie donne imponendo loro codici di
comportamento degradanti. Come se, data per assodata la propria
inferiorità spirituale, potessero sopravvivere solo imponendo alle donne
una ancora maggiore inferiorità, spirituale e fisica.
D'altra
parte gli uomini sono figli delle donne, che quindi non sono esenti da
colpe, soprattutto quando invece di sollevarsi a vicenda diventano
complici della perversione maschile e privano altre donne della loro
crescita spirituale, della felicità, e in fin dei conti della vita.
Questo scontro tra sessi, più che tra culture, è a parer mio la linea
conduttrice di questo libro, che per altri versi contiene un certo
numero di stereotipi (le gemelle, il carcerato maestro di vita, la
ballerina russa, e via steretipando).
Commento di Stefania
mi e' piaciuto... abbastanza. Direi tre stelle e mezzo. Segue la moda
degli ultimi romanzi: scrivo un pezzo dal punto di vista di un
personaggio, ti mollo sul più bello, passo a un altro personaggio, anche
li' ti mollo, passo a un altro ancora... non so: iniziano a sembrarmi
fatti tutti con lo stampino! A tratti e bello, a tratti e' un po'
scontato. Abbastanza improbabile il pezzo in cui la gemella "a rovescio"
viene in visita in Inghilterra giusto in tempo per farsi ammazzare dal
nipote... che la ammazza proprio perché essendo a rovescio ha il cuore
dalla parte sbagliata. Bella e poetica la storia dell'ultimo figlio
innamorato dei punk. Si intravede il problema del gap generazionale dei
figli degli immigrati, ma sarebbe interessante svilupparlo di piu'
soprattutto con la figura della figlia.
Commento di Cristina
La
versione inglese si intitola Honour (o Iskender, l'ho trovato anche
così). Mi chiedo che cosa nel titolo originale andasse storto ai fini
pensatori della casa editrice, forse che colpiva un pochino troppo
vicino a casa?
E per finire il mio commento
Nella scelta delle stelline sono rimasta a lungo indecisa se darne tre o
quattro. Un bel romanzo è un'altra cosa, ma non è nemmeno "così così"!
Alla fine ho optato per quattro, ma con riserva.
Il romanzo è scorrevole e ben scritto ma la storia non mi ha sorpreso. A metà libro avevo già intuito quasi tutto.
E' un romanzo triste, dove mai o quasi mai vengono citate le parole
felicità, amore e realizzazione, ma sempre la parola "onore".
Parliamo ancora di donne, donne che non possono nemmeno sognare perchè
anche i sogni sono peccaminosi. Gli uomini fanno invece quello che
vogliono, per loro l'onore non conta? Possono abbandonare la famiglia
per una ballerina bulgara che si fa passare per russa, possono mettere
incinta una ragazzina di 16 anni e gironzolare per la città con una gang
di adolescenti, anche da bambini possono frequentare chi gli pare e
come gli pare. Per loro la parola onore ha un altro significato.
E'
la storia del desiderio di integrarsi che si scontra con la propria
cultura e le donne, che avrebbero maggiore tolleranza e maggiore
pazienza per poterlo fare e insegnarlo ai loro figli, sono costrette ad
una vita a metà, spesso non imparano nemmeno la lingua del paese che le
accoglie. Vivono una vita ai margini, non sono ne' di qua e ne' di la!
Romanzo triste ma che si apre ad una speranza, ad un riscatto anche se poco convincente.
Al termine della discussione abbiamo estratto il libro per la prossima volta.
Avevo da pochissime ore inserito nella borsettina i titoli scelti dalle nuove amiche del gruppo, Chiara e Cristina, ed ecco che proprio un romanzo proposto da una di loro, Chiara, viene estratto.
LA SOCIETA' LETTERARIA DI GUERNSEY di Mary Ann Shaffer.
Il prossimo incontro è fissato per MARTEDI' 11 MARZO, alle ore 20.00, sempre presso la Trattoria al Torre di Via Cividale.
A presto e buona lettura a tutti
Francesca
La storia segue il percorso di vita di due gemelle apparentemente identiche Jamila e Pembe, e quella dei tre figli di Pembe, ormai immigrata in Inghilterra negli anni 70.
Apparentemente una storia familiare, di fatto il racconto parla di destino, di emigrazione e di integrazione (mancata). Ci parla anche e soprattutto di donne: Jamila, Pembe, Esma, Tobiko, Katie, sono tutte uno spicchio della realtà femminile del periodo, tra tradizione e rivendicazioni, tra amore e dovere, tra destino e sacrificio.
La storia ci pone di fronte a una serie di dilemmi culturali e etici, per molti aspetti estremamente attuali (per noi italiani, almeno, che ora come ora ci troviamo dall'altra parte della barricata culturale), ovvero se sia possibile sfuggire alle proprie tradizioni pur vivendo in paesi stranieri, essendo cresciuti in un paese che per cultura, usi, costumi è lontano anni luce da quello in cui sono nati i tuoi genitori; Quanto è giusto (o no), abbandonare quello che si era e sacrificare la propria cultura alla necessità di adeguarsi, ammesso sia possibile farlo? E dall'altro lato, quanto è possibile accogliere una diversa cultura, adattarsi a essa, senza perdercisi?
Nel libro (che pure mantiene un punto di vista che almeno secondo me resta abbastanza esterno alla narrazione ed è quindi, per quanto possibile, imparziale) la risposta è no, non si può sfuggire alla propria cultura, alle proprie radici. Non ci riesce Pembe, non ci riesce Jamila, incolpevole vittima sacrificale, non ci riesce Iskender, non ci riesce quasi nessuno dei vari personaggi, in alcuni casi perchè non vogliono, in altri perchè non possono. Con i tragici risultati che ne conseguono, magari non voluti, magari esasperati, ma che nessuno riesce (o vuole veramente) evitare.
Un bel libro, dicevo, ma ha almeno due cose che non mi sono piaciute:
Lo scambio delle gemelle e il compagno di cella zen di Iskender mi sanno molto di soap opera, sono quasi banali in un libro che banale non è.
Quasi tutti i personaggi maschili di origine mediorientale fanno schifo: Sono maschilisti, sciovinisti, traditori, violenti, chi più ne ha più ne metta, in una divisione manichea da cui si salvano in pochissimi, di fatto solo quelli che si sono integrati. Tanto per dire, persino quelli che si incontrano per caso per strada hanno cattive intenzioni e sono brutti sporchi e cattivi.
Del resto il poco amore dell'autrice per i suoi uomini si vede nel trattamento finale riservato a Iskender. Gli viene negata la possibilità di chiedere perdono alla madre, che muore "per la seconda volta" proprio a ridosso del suo rilascio.
Ennesima crudele svolta di un destino che si è fatto beffa spesso e volentieri dei personaggi di questa storia.