martedì 21 giugno 2016

Una scoperta tardiva.

Il libro del mese di maggio è Stoner di John Edward Williams. Inizialmente pubblicato nel 1965, con buone critiche ma modesto successo editoriale, viene riscoperto nel 2006, quando viene ripubblicato diventando presto un best seller, almeno in Europa. Un best seller dovuto prevalentemente al passa parola, oltretutto, con ben poche spinte editoriali.
Insomma, niente fascette che strillano: il miglior libro del secolo, qui.
Tuttavia è sicuramente il libro che più abbiamo discusso al club di lettura.
Il protagonista del libro ha, almeno dal punto di vista della biografia, molti punti in comune con il suo autore.
Stoner è figlio di contandini, l'autore proviene da una famiglia di bassissima borghesia ma lo è solo da una generazione, visto che i nonni erano contadini pure loro. Come Stoner l'autore arriva tardi agli studi universitari anche se qui i motivi divergono, dato che Williams si arruola e partecipa alla seconda guerra mondiale (con riluttanza). Rientrato dalla guerra si iscrive all'Università di Denver dove si laurea in Arti e letteratura (traduco un poco a cavolo, non c'è l'esatto corrispondente, ma più o meno ci siamo). In seguito proprio a Denver diviene Professore di letteratura inglese, e lì resta fino alla pensione.
A questo punto spero vivamente che vita e arte divergano, altrimenti il buon Williams ha avuto una vita davvero triste e miseranda.

Tutta la vita di Stoner si trova nella prima pagina del racconto, nella sua minuscola cosmicità. Ma non sono i fatti a essere importanti. Del resto è una vita tranquilla, le cui tragedie - e ce ne sono - sono sottaciute, vissute in privato. Subite, mai combattute. Stoner è un uomo che pare incapace di combattere, di ottenere quello che vuole, la cui risposta primaria è sempre e solo quella di arretrare, e di rinunciare. Rinuncia all'amore, alla figlia, alla carriera, a scrivere, alla fine anche a vivere. Non riesce mai a contrastare la moglie (francamente una megera) nemmeno quando è della serenità della figlia che si tratta, ben raramente contrasta il suo capo dipartimento, che lo odia. Nei rapporti con gli studenti a volte si sente partecipe, più spesso si vede come figura misera e inutile. Ammette, senza fronzoli, di non essere un buon insegnante, che avrebbe potuto fare di più.

Il libro, scritto davvero bene, segue il protagonista per tutta la sua vita. Di Stoner conosciamo pensieri e vicissitudini, e tutto è visto dal suo punto di vista. Ma è un punto di vista estremamente attento nel non prendere posizione, limitandosi a narrare la vita del protagonista senza prendere le parti di nessuno.
Di fatto ci siamo più interessati ai personaggi che al libro. Per qualcuno Stoner è un eroe - non eroe, una figura di rottura rispetto al protagonista vincente che di solito si incontra nei libri. Abbiamo dibattuto a lungo se sia o meno una figura positiva. Sicuramente le sue azioni - o meglio la mancanza di azioni - hanno segnato profondamente la vita di chi lo ha conosciuto. La figlia, in particolare, è stata distrutta dalla guerra (combattuta solo da una parte) tra la madre e il padre, di cui è stata incolpevole pedina. Anche Katherine, l'amante, vede buona parte della sua carriera minacciata. Su tutti la moglie, come detto una megera terrificante, il cui unico scopo nella vita pare essere rendere quella di Stoner un inferno, e ci riesce. Chissà cosa avrà pensato la moglie vera di quella letteraria!
Ecco, avremmo voluto sapere di più di questa donna, capirla meglio, avere qualche ragione per il suo comportamento.
Sarà anche, come dice Claudio, che molti personaggi femminili del periodo sono così, ma il fatto che "l'abbiano scritta così" non è molto soddisfacente, almeno per me.

Il libro è estremamente consigliato: è scritto meravigliosamente, e per quanto la vita di Stoner sia insignificante (o lui la ritenga tale) ci sono in questo racconto immagini potenti, e al contrario di molti libri la parte finale è davvero stupenda. L'immagine dei ragazzi che corrono sul prato del campus quasi senza lasciare traccia è pura poesia, come le lacrime silenziose della madre di Stoner. Dove e quando queste scene si trovino lo dovete trovare da soli.
Ne varrà la pena, anche se a volte vorrete badilare il protagonista e strozzarne la moglie.

Ecco le due recensioni che ho trovato sul web:
iniziamo con La verde Monica che dà al libro 4 stelle:
Il libro narra la vita di Stoner. Ma chi è veramente Stoner?
Un uomo come tanti che per quieto vivere si lascia scorrere addosso le cose negative della vita senza reagire?
Oppure un uomo che nonostante tutto riesce a trovare rifugio nelle sue passioni: la letteratura e l’insegnamento opponendosi alla vita segnata che lo voleva contadino?
Potrebbe essere un anti eroe o eroe perché decide di non partire per la guerra, un uomo per bene che resiste coraggiosamente alle tirannie di una moglie affetta da disturbi bipolari, un papà meraviglioso che accudisce la figlia da piccola, ma poi incapace di “riacciuffarla” quando da grande scappa volontariamente da casa, diventando alcolizzata. Testardo in qualche occasione, passivo in molte altre.
William Stoner: un uomo, con tutti i suoi umani limiti. Ma quanta rabbia provocano i suoi "non importa, va bene così".
L’autore non prende mai posizione, semplicemente racconta la vita di quest’uomo e lo fa decisamente bene. Un libro pervaso di malinconia da cui ognuno può trarre le sue conclusioni/riflessioni. Da leggere e da leggere fino alla fine perché le ultime pagine sono meravigliose.


Segue Cristina, 3 stelle
Libro scritto meravigliosamente, con un protagonista all'apparenza "perdente" e remissivo ma che, secondo me, alla fine ha vissuto come voleva (o forse ha capito meglio di me il senso della vita, il che è una vittoria di per se stessa).
William Stoner è quello che definiamo una vittima della vita, anzi, peggio, un perdente. Non si ribella mai a nulla, alla moglie (si dovrebbe scrivere un saggio solo su questa figura di donna, così arpia che viene la tentazione di limitarsi a prenderla così com'è ma che, da qualche parte, DEVE avere una tragedia da raccontare altrimenti è solo lo stereotipo della mogli castrante), ai colleghi (e pure qui viene da chiedersi se Lomax sia solo lo stereotipo del collega frustrato e castrante pure lui, o se lo hanno disegnato così per un motivo), dalla figlia (che ama ma non abbastanza da lottare per lei, o forse lo fa ma come lotta per tutto il resto, ovvero rinunciando), dagli alunni, pure dalla malattia e dalla morte.
Eppure nelle sue rinunce io ci vedo una forte personalità, una integrità profonda, che Stoner stesso decide di non opporre alla vita, a moglie, colleghi, lavoro. Come se nelle sue sconfitte trovasse il senso stesso della sua esistenza. Del resto quando (raramente) vuole qualcosa lo ottiene: studia inglese nonostante il peso del sacrificio e delle aspettative dei genitori, non si lascia sfruttare dai parenti, riesce a farsi cambiare orario da Lomax. Allora perché lasciarsi scorrere tutto il resto addosso? Perché non reagire praticamente mai? Perché non lottare per ciò a cui tiene?
Un antieroe totale, insomma, distante anni luce dal vincente classico, eppure eroe comunque.Come detto il libro è scritto meravigliosamente, tuttavia moglie, colleghi, amante, pure gli alunni mi sembrano stereotipi e non personaggi. Delle loro motivazioni, soprattutto quelle della moglie, nulla sappiamo. Il racconto segue Stoner, raramente gli altri.
Per tutta la lettura, inoltre, viene voglia di scuotere quest’uomo, di dirgli di reagire, da ribellarsi. Così la lettura passa nell’attesa dell’evento, della ribellione, della reazione di cui il lettore sente il bisogno per poter ricevere, dalla lettura, una qualche consolazione.
Invece niente.
Alla fine la tentazione di urlare è piuttosto forte. AAAAAAAAARGH!


Libro del prossimi mese: Un grande gelo di Arnaldur Indriðason:


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