lunedì 23 maggio 2016

Prima vivevo in un modo buono...


Svetlana Aleksievic - giornalista e scrittrice
Le rivoluzioni arrivano non quando qualcuno le vuole, ma quando pare a loro.

Quello di maggio è un libro complesso sia nella struttura che nella lettura. Molto corposo, ha un'inusitata quantità di note esplicative (occupano circa un quinto del volume) la cui lettura è spesso necessaria alla contestualizzazione delle storie narrate.
E' evidente sin dai primi racconti che in "occidente" poco si sapeva e poco si sa tuttora di quello che effettivamente è accaduto nell'ex Unione Sovietica. Presi dall'entusiasmo per la caduta "del Muro" (fisico tanto quanto metaforico) poco ci è interessato di coloro che sono rimasti sotto le macerie e di chi dalla polvere sollevata è rimasto soffocato. Come spesso accade ci siamo fermati alle apparenze, alle prime pagine dei giornali. Questo il libro di Svetlana Aleksievic non lo consente.

Essere delle vittime è talmente umiliante... Si prova solo un senso di vergogna.

Nell'accavallarsi delle storie raccontate e nella cacofonia delle voci e delle grida di chi alla giornalista ora Premio Nobel racconta la sua storia c'è tutto il dolore e lo smarrimento di un popolo che ha visto la propria identità culturale e la società in cui viveva disintegrarsi in pochissimi anni.
Purtroppo dalle ceneri del mondo sovietico (ora esecrato ora rimpianto, a volte anche tutte e due le cose) non sembra essere nato un mondo migliore. Se sia vero, tuttavia, che Prima vivevo in un mondo buono, adesso quel mondo non c'è più e non ci sarà mai più quello lo deciderà la storia, il futuro.

Per noi i libri sostituivano la vita. Era il nostro mondo. Poi è accaduto qualcosa... siamo tornati coi piedi per terra. Quella sensazione di felice euforia si è dissipata. Completamente, senza traccia. Ho capito che quel nuovo mondo non era, non poteva essere mio. Era fatto per gente di tutt'altro tipo.

Il libro non lascia molti spiragli di speranza, anche se l'ultima storia "Osservazioni di una donna comune" chiude in un certo qual modo con una nota positiva (o almeno non negativa): ha visto che bei lillà? La notte, quando esco, risplendono... Resto li a guardarli. Ora vado a raccoglierne un mazzo per lei...

All'incontro eravamo particolarmente numerosi, ben undici! Di fatto mancava solo Augusta, trattenuta da impegni familiari. Come sempre la serata è passata in allegria, allietata da una splendida cena e da tante chiacchiere. Rientravano nel gruppo dopo qualche mese di assenza Katia e Francesca. A voler essere proprio proprio sinceri non è che lo abbiamo finito tutti, il libro. Non era solo corposo ma anche un poco ripetitivo e pesante. Tuttavia forniva non solo uno spaccato veritiero sulla storia recente dell'ex blocco sovietico ma anche una chiave di lettura di molti avvenimenti recenti e no che hanno e avranno conseguenze anche su di noi.

Ci è piaciuto? Diciamo che i pareri sono stati discordi (come quasi sempre) ma che tutti abbiamo apprezzato il suo valore come testimonianza. Difetti? un poco ripetitivo e lo stile, spezzettato, che non facilitava la lettura.

Nell'etere per ora solo due opinioni, che copincollo:
Daniela 4*
Splendido libro, l'autrice riporta attraverso le sue conversazioni con la gente (la povera gente) lo sfascio dell'Unione Sovietica e le conseguenze della caduta del comunismo. Tutto ciò in cui ha creduto, le aspettative, la cruda realtà, la perdita della protezione (finta?), l'impatto crudo con il consumismo, la scoperta di un mondo sconosciuto dove chi è senza pelo sullo stomaco prevarica gli altri. Noi che da qui gioivamo sulla perestrojka, scopriamo che i russi hanno ricevuto uno schiaffo potente alla loro vita.
La scrittrice raccoglie le storie crude della popolazione rimasta al palo, e lo fa in modo ammirevole, un Nobel veramente meritato. 

Cristina 2*
C'è un programma che prende tutte le tue foto, le mischia come pare a lui e poi le ricompone a creare una immagine tutta nuova. Si parte dall'immagine che si vuole ottenere, e poi il software sceglie le immagini adatte a completare il quadro. Credo sia così anche qui. L'autrice voleva farci arrivare una immagine definita, ha scelto le storie che quell'immagine aiutano a creare. Altrimenti qualche storia con almeno un minimo di lieto fine da qualche parte ci doveva finire. Qui non ce ne sono. Nemmeno una. Solo dolore, sofferenza (declinate in ogni possibile salsa), disillusione. Su tutto il lutto della perdita di identità di un popolo che prima esisteva e dopo non esisteva più. Come in ogni rivoluzione ci sono state infinite vittime e tanti, tantissimi carnefici. Erano mostri? Forse non tutti, no. Ma ogni tanto ti viene il dubbio che l'educazione, l'ambiente o che ne so, la genetica, renda questi popoli quello che sono e che non abbiano via di uscita diversa da quella fornita da alcool e sopraffazione. Eppure rimangono, sotto cicatrici e ferite, poeti, scrittori, artisti, comunque amanti della cultura. Dicono che l'amore per il bello ci salverà. A leggere questo libro non pare realistico sperarci.
Tirando le somme, un libro probabilmente necessario, molto utile se si vuole comprendere la storia degli ultimi trenta anni dell'ex Unione sovietica, ma pesante da leggere. Troppo spezzettato, non ha un chiaro senso logico (le storie sono probabilmente inserite con un senso ma non ho capito quale), è ripetitivo e, a tratti, anche noioso.


Il prossimo mese si commenta Stoner di John Edward Williams.
Ci si vede martedì 14 giugno, solito posto, solita ora.