giovedì 27 agosto 2020

Il birraio di Preston

Qual era, in Sicilia, la proporzione delle cose che succedevano per scangio rispetto a quelle che invece accadevano senza scambio di persone o cose? ....
E nasceva magari il dubbio che tutto quello scangia scangia fosse un finto scangia scangia, che non c’era stato nessun errore, che lo scangiamento era stato solamente un alibi, addirittura un vezzo. E allora di che cosa poteva ridere per uno scangio più finto di quelli finti, gente che al contrario nello scangio quotidiano viveva?

A occhio e croce Andrea Camilleri è uno dei più letti e tradotti autori italiani moderni. Potrebbe anche essere il più letto e tradotto, ma non ci metterei la mano sul fuoco, pare che la quadrilogia dell'Amica geniale sia stata un successo straordinario, anche nella trasposizione televisiva (altro aspetto che accomuna i due autori, e se per un giallista essere "telefilmizzato" non è poi così strano, lo stesso non si può dire per i quattro libri della Ferrante).

Questa premessa per dire che non era possibile che non avessimo messo nessuno dei tanti libri del Maestro in calendario per il club, soprattutto data la recente scomparsa dell'autore. Ed eccoci qui, con Il birraio di Preston, uno dei libri che non vedono come protagonista il celeberrimo Commissario Montalbano, ma ambientato comunque nell'immaginaria cittadina siciliana di Vigata, anche se più o meno un secolo prima.

Il  romanzo,  edito nel 1995, prende spunto da un fatto reale (è documentato nel lavoro Inchiesta sulle condizioni sociali ed  economiche  della  Sicilia  (1875-1876),  fonte  da  cui  l’autore  ha  più  volte  attinto per  la  creazione dei suoi romanzi). 

La vicenda originale parla di tumulti e delitti seguiti alla proma teatrale dell'opera lirica Il birraio di Prestondi   Luigi   Ricci,   fortemente   voluta   dal   prefetto   Fortuzzi   e   aspramente avversata dalla popolazione locale). Il luogo dell'azione, nella realtà storica  Caltanissetta,  diventa  Vigàta,  e  il  nome  dell’ottuso  e  odiato   burocrate "nordico" si   trasforma   in   Bortuzzi. 

Il romanzo, pieno di colpi di scena, coincidenze, giravolte, corna e morti ammazzati, ha una struttura "libera" ovvero il lettore potrebbe, volendo, leggerlo nell'ordine che preferisce, saltellando qua e là tra i capitoli che non hanno - se non alla conclusione - una struttura cronologica. Nel Birraio di Preston, inoltre, Camilleri sperimenta moltissimo anche con la lingua. Il "siciliano - italiano" di questo racconto è molto più ricco (e onestamente faticoso) di quello di Montalbano. Visto che alcuni personaggi sono toscani, e che l'autore cerca la veridicità dialettale, a difficoltà si aggiunge difficoltà. Tra siciliano, toscano, italiano basso, alto, burocratese e chi più ne ha più ne metta si ringrazia che il racconto sia divertente perchè in alcune parti è ostico.

Vostra Eccellenza mi permette di parlare latino?
Il prefetto si sentì bagnare la schiena da un rivolo di sudore. Fin dal momento che si era imbattuto in rosa-rosae aveva capito che quella era la sua vestia nera.
Ferraguto, in confidenza, a scuola non ero mi'a bravo.
Don Memè allargò il sorriso leggendario.

Ma che ha capito. Da noi, in Sicilia, parlare latino significa parlare chiaro.
E quando volete parlare oscuro?
Parliamo in siciliano, Eccellenza. 

Questo libro era la nostra scelta di aprile, ma come ben si sa il Covid ci ha messo i bastoni tra le ruote e tutti gli incontri di persona personalmente sono saltati.

Come ogni bravo club di lettura al tempo del Coviddi, quindi, di questo libro abbiamo parlato via Skype, e ci ha trovato piuttosto concordi sia nel plauso alla capacità di Camilleri di creare personaggi a tutto tondo con poche sapienti pennellate e alla sua abilità di sceneggiatore (tutti i tanti fili del racconto trovano, alla fine, la perfetta collocazione) sia nell'aver trovato a tratti non proprio agevole la lettura. 

La struttura e il linguaggio sono interessanti, e Camilleri (non ancora celeberrimo) dimostrava in questi primi libri la propria volontà di sperimentare, forse anche di sfidare il lettore a superare alcuni dei suoi limiti. Anche nel racconto, apparentemente divertente e leggero, in realtà non privo di ingiustizie, violenze e sopraffazioni (vedasi l'ultimo capitolo).

Scena da La stagione della caccia di A. Camilleri

Un libro che quindi ci è piaciuto leggere, e che consigliamo, in attesa della probabile trasposizione televisiva.

Ho trovato due recensioni. La prima, di Monica, valuta il romanzo 3,5 stelline:
Nonostante io abbia faticato un po' nell'immediata comprensione del dialetto siciliano che giustificano la mezza stellina in meno, questo è un gran bel libro.
Vigata, in una sorta di realismo magico alla siciliana, far west alla nostrana, ironia che strappa sorrisi, ma avvilisce perché in fondo in fondo molte cose funzionano ancora così.

La seconda è di Cristina che al racconto appioppa tre stelline.
Piacevole, anche se difficoltosa, lettura. Ho trovato ostico il "sicilitaliano" che qui è ben più tosto che nei tanti Montalbano che ho letto. Brilla il Camilleri sceneggiatore, e quello che con poche parole tratteggia storie e personaggi. La storia si amplia e dilata in infinite sottotrame che - onore al Maestro - alla fine trovano tutte la giusta collocazione. L'apparente divertimento del racconto si stempera in un capitolo "postumo"'che fa tristemente capire come sia facile manipolare i fatti e darne una versione corrotta e bugiarda. Sotto i lustrini del racconto, un massaggio per me triste e pessimista.

Per chi volesse approfondire esiste un sito che i tanti fan di Camilleri hanno dedicato all'autore. Tra il tanto materiale disponibile c'è anche il Glossario al Birraio di Preston, davvero molto interessante, da cui ho attinto alcune delle informazioni che trovate nell'articolo.

Prossimo libro: Le streghe di Lenzavacche di Simona Lo Iacono.










mercoledì 26 agosto 2020

Il treno dei bambini

Ma che me ne faccio io della speranza? Io la speranza la tengo già nel cognome, perché faccio Speranza pure io, come mia mamma Antonietta. Di nome invece faccio Amerigo. Il nome me l’ha dato mio padre. Io non l’ho mai conosciuto e, ogni volta che chiedo, mia mamma alza gli occhi al cielo come quando viene a piovere e lei non ha fatto in tempo a entrare i panni stesi. Dice che è proprio un grand’uomo. È partito per l’America per fare fortuna.

Incontriamo Amerigo, il piccolo protagonista, mentre segue la madre attraverso i vicoli di Napoli. Ha le scarpe che non sono della sua misura, ma le porta con orgoglio lo stesso. Della scomodità ha fatto un gioco, e le conta sulle persone che incontra per strada. Non sa bene dove la madre lo stia portanto, tuttavia dall'atteggiamento di Antonietta capisce che sta per succedere qualcosa che lo riguarda e che non sarà tanto bella. La madre, infatti, gli compra qualcosa da mangiare, senza che lui chieda nulla. 

Amerigo ancora non lo sa, ma sta per salire su un "treno della felicità", uno dei tanti treni che tra il 1946 e il 1952 portarono circa 70.000 bambini dal Mezzogiorno all'Emilia Romagna, Toscana e Umbria, per essere ospitati dove almeno da mangiare c'è.

Un esempio di solidarietà nazionale straordinaria, di cui poco si parla. Recupero dal sito dell'ANPI: A Milano Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana da poco rientrata dal campo di Ravensbrük, intuisce che solo un gesto di solidarietà può risolvere almeno temporaneamente la drammatica situazione di bisogno dei bambini. Con ciò che rimane dei Gruppi di difesa della donna, poi confluiti nella nascente Udi – Unione donne italiane, la Noce chiede ai compagni di Reggio Emilia, realtà prevalentemente agricola e quindi con maggiori risorse alimentari rispetto a Milano, di ospitare in quei mesi alcuni bambini. «La risposta fu al di là di ogni legittima speranza. – Si legge nella prefazione di Miriam Mafai a “I treni della felicità” – Tanto generosa che si decise di estenderla e radicarla nel Mezzogiorno (…) Furono trasferiti così, nei due inverni immediatamente successivi alla fine del conflitto, alcune decine di migliaia di bambini che lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da altrettante famiglie contadine, nei paesi del reggiano, del modenese, del bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati».Ma quelle donne, che avevano tessuto la Resistenza e svezzato la Repubblica, non si fermarono raggiunto il loro primo obiettivo. Così, dal 1945 al 1952, anni duri per tutto il Paese, furono ospitati nel centro-nord ben 70.000 bambini, grazie anche all'appoggio del Pci, dei Cln locali, delle sezioni Anpi, delle amministrazioni e della popolazione in genere. Un numero sorprendente.

Da un giorno all'altro Amerigo si trova catapultato in un'altra Italia, diversa per lingua, clima, sapori, che lo spaventa ma che dopo il primo momento di reciproca diffidenza lo accoglie senza grossi traumi. Antonietta, la madre, è una donna indurita dalla vita e dalle difficoltà, che sta tirando su il figlio da sola. L'opposto rispetto alla famiglia allargata e unita in cui Amerigo viene ospitato. E' una famiglia contadina, ma non ha problemi a mettere il pane sulla tavola. Tutti devono contribuire all'andamento della casa, ma c'è amore, e accettazione, e cura.

Amerigo si adatta bene alla nuova vita anche se sente la mancanza della madre. Impara persino a suonare un po' il violino, e scopre di avere talento. Ma il tempo passa, ed è ora di tornare a casa. Un altro distacco doloroso, mitigato dalla promessa di mantenersi in contatto, e dall'idea di tornarea casa.

Ma i mesi passati a Modena hanno lasciato comunque il segno. Prima di partire Amerigo era contento di come viveva, ora è in grado di fare paragoni, e il suo mondo entra in crisi. E' diviso a metà: da una parte la madre e la vita come la ricordava, dall'altra una famiglia che gli ha dato calore e cure e può dargli di più, soprattutto la musica, rappresentata dal violino che gli hanno regalato e di cui tanto è orgoglioso.

Il rapporto con la madre, già pieno di asperità per la durezza e la reticenza della donna, si incrina ulteriormente sotto il peso di malintesi e fraintendimenti che hanno il loro picco quando Amerigo scopre che Antonietta ha venduto il suo violino e gli ha nascosto le lettere che arrivavano dal nord.

E' la rottura, Amerigo scappa. Stavolta prende il treno da solo, e torna a Modena.

L'ultima parte del libro (quella forse meno convincente) ci porta nel 1994. Amerigo adulto torna a Napoli per il funerale della madre, che non ha mai veramente capito o perdonato. Da adulto si volta indietro e cerca di dare un senso alla sua vita, sgarbugliando il mistero di Antonietta e del suo vero padre, e rialacciando i rapporti con un fratello minore di cui solo ora si palesa l'esistenza. Cerca forse un riscatto da se stesso e dalla sua incapacità di capire la madre ma anche da adulto tanto, troppo, resta in sospeso.

  Chi ti manda via ti vuole bene? -
Amerí, a volte ti ama di più chi ti lascia andare che chi intrattiene.

Il libro di Viola Ardone ci è piaciuto molto.

Il protagonista bambino è realistico, e simpatico. E' ingenuo ma diretto e sveglio, tuttavia non abbiamo trovato le tante (troppe) forzature cui i personaggi infantili sono sottoposti nella maggior parte dei libri. Il racconto, inoltre, ci ha fatto scoprire un avvenimento che era sconosciuto a molte di noi, dimostrazione di una Italia che riusciva ancora a fare grandi gesti collettivi di solidarietà, che sembra scomparsa sotto il peso della attuale crisi economica.

Il libro scorre veloce e piacevole, soprattutto nella prima parte. La seconda, quella raccontata dall'Amerigo adulto, ci ha forse convinto meno, ma nulla toglie a un racconto delicato e interessante, che offre molti punti di riflessione e riesce a non scadere mai nel retorico e nel melenso.

Ho trovato solo la recensione di Cristina. 

Mi è piaciuta tantissimo la prima parte, mentre la seconda mi è parsa un po' tirata via. Il registro più "adulto" della conclusione come stile è nelle mie corde ma anche qui, come nella seconda parte, il racconto resta un po' sospeso, molto viene omesso. Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio la figura della madre del protagonista, e un po' più di dettaglio sulla sua vita dopo che torna a Modena, ma il racconto sorvola su entrambi gli aspetti.
Resta comunque un libro molto bello (secondo me), soprattutto nella prima parte la voce di Amerigo è più chiara e credibile.

All'argomento "treni della felicità" sono stati dedicati anche un libro (I treni della felicità di Giovanni Rinaldi, Edizioni Ediesse da cui è stato tratto anche un lavoro teatrale) e un film-documentario per la regia di Alessandro Piva, distribuito da Cinecittà Luce e diversi programmi televisivi.  

Qui sotto un breve documentario che ho trovato su youtube.


Libro di prossima lettura Il birraio di Preston di Andrea Camilleri.