sabato 16 agosto 2014

Creatura di sabbia, creatura di rabbia


Per ironia della sorte è in una serata umida e piovosa che ci incontriamo per parlare di Creatura di Sabbia di Tahar Ben Jelloun. 

 

Anche questa volta siamo ospiti di Daniela che non solo ci accoglie ma ci ha anche preparato una sostanziosa pasta fredda. Ognuna di noi ha portato qualcosa d’altro da mangiare e il risultato è stato un banchetto rustico ma sontuoso, le cui vestigia ci siamo anche potute portare a casa. Si può dire molto delle nostre riunioni, ma non che si svolgano di fronte a un desco sguarnito.
Assenti giustificate Rita e Francesca, per sopraggiunti impegni. Anche questa volta non è stato possibile collegarsi con Berlino e parlare con Maria Grazia che comunque il libro lo aveva già letto.
Presenti, quindi: Daniela, Stefania, Marilaura, Monica e la sottoscritta, Cristina.
Rispetto al mese scorso c’è stato un notevole miglioramento. Saranno state le poche pagine (sono circa 160), ma almeno il libro lo abbiamo letto. Peccato non sia piaciuto a nessuna. Nemmeno a Monica e Marilaura che lo avevano letto anni fa. Come Maria Grazia ne conservavano un bel ricordo: la rilettura è stata invece difficile e faticosa.
Onirico, verboso, prolisso, pesante, noioso, ecco i termini che ricorrevano ieri sera per descrivere il racconto della vita della protagonista di Creatura di Sabbia, nata femmina e cresciuta come maschio per volontà del padre che vuole così disperatamente un erede da cercare di forzare la natura. Il libro narra prima in forma fiabesca, poi deragliando completamente, la vita emarginata e sacrificata di Ahmed, dall’accettazione della volontà paterna, alla ribellione anche violenta a un destino che la forza in panni non suoi.
Se l’autore avesse mantenuto il rigore dei primi capitoli, pure se scritti con stile onirico e, sinceramente, pesantuccio, il libro sarebbe stato forse non un capolavoro ma comunque una piacevole lettura. Tahar Ben Jelloun invece a un certo punto piglia la tangente e il racconto diventa confuso, privo di logica, anche un filino allucinante e allucinato prima di risollevarsi leggermente nel finale.

Il risultato sono le seguenti recensioni sparpagliate qua e là tra Anobii e Goodreads:

Gonza **
Non so se forse l'estate non fosse il periodo adatto per leggere un libro così circonvoluto, dove la storia si confonde con i narratori che a loro volta cambiano la storia, ma non mi ha preso per niente, nonostante la trama fosse affascinante per quanto già vista, per esempio in chiave ebraica con Yentl.
Resta il rumore di alcune culture che coprono le donne di proibizioni assurde e dalle quali non ci siamo ancora liberati, noi per primi come popolo con veramente poco di mussulmano.

Stefania ***
Nel Marocco degli anni 40 del secolo scorso nasce una bimba dopo 7 sorelle. Il padre decide che deve essere per forza un maschio, perché altrimenti nessuno potrà ereditare i suoi beni, che andranno ai fratelli: la giovane moglie e le altre figlie moriranno nell'indigenza. Così la bimba viene educata come un maschio e l'imbroglio durerà per tutta la sua vita (o quasi). All'inizio il libro è un po' pesante, non troppo originale, poco credibile - la bimba va ai bagni pubblici prima con la madre poi col padre, viene perfino circoncisa, diventa grande e ha le mestruazioni e nessuno, neanche le sorelle, si accorge di nulla. Regna forse l'ipocrisia, l'incapacità di vedere quello che non deve essere visto... il re è nudo e nessuno sembra accorgersene. Poi muore il padre, lei si sposa una cugina e la finzione va avanti, ma con sempre maggiore fatica per la ragazza ad adattarsi al suo ruolo. Fin qui il tutto viene raccontato da un cantastorie che legge anche parti del diario della ragazza e di sue lettere. Da qui in poi la storia diventa sempre meno credibile, nebulosa, auto-contraddicente. Muore o sparisce il cantastorie e vari personaggi raccontano secondo loro come è finita la storia. I finali si contraddicono, contraddicono le premesse, non si capisce più nulla. Muore l'eroina, no non muore è una dei personaggi narranti, ma ì invece muore è una sorella che disperata per la figuraccia che hanno fatto quando si è scoperto che il suo cadavere era di una donna che porta il diario, va a lavorare in un circo, no in un circo non ci va, il cantastorie stesso che era morto torna a raccontare un pezzo, oppure un vecchio cieco che stava dall'altra parte del mondo a cui la protagonista ha raccontato un pezzo di storia però ha anche cercato di ammazzarlo... forse.... o non l'aveva violentata e ammazzata il proprietario del circo che aveva un complesso edipico per sua madre? Insomma un pastrocchio incredibile! Le ultime 12 pagine del libro (versione Einaudi) sono quelle scritte meglio, ma non le ha scritte Ben Jelloun, ma una serie di critici che si arrampicano su tutti gli specchi possibili per dimostrare che si tratta di un libro bellissimo... sarà!

Francesca **
Sarà un mio limite, lo ammetto, ma non riesco ad apprezzare questo genere di romanzo, mi affatica e non mi coinvolge. Quando non riesco a capire dove comincia la prosa e finisce la poesia, dove è sogno e dove è racconto, allora la lettura diventa tediosa. L'unico pregio di questo libro, che non mi ha insegnato ne lasciato niente, è che ha solo 160 pagine.

Cristina **
Ammetto senza problemi che mi mancano buona parte dei riferimenti culturali di cui dispone invece l'autore (intendendosi con cultura sia l'ambiente sociale in cui l'autore è cresciuto che i tanti, tantissimi rimandi a autori, libri, poesie di cui so poco se non nulla) e che quindi la mia lettura è - per forza di cose - sbilenca, guercia, miope, ma che palle!
I primi capitoli (che a mio parere rimandano direttamente a Le mille e una notte) sono belli. Onirici, certo, ma hanno una logica narrativa che affascina. La vita negata del/della protagonista, costruita su menzogne e inganni, ma che la natura vincola con le sue regole imprescindibili (le mestruazioni, il seno, i desideri e i sogni di Ahmed), mi interessavano. L'iniziale accettazione del destino imposto dal padre, e il seguente rabbioso rifiuto dei limiti, della castrazione che la condizione di maschio, apparentemente più fortunata e promettente, invece comporta era, a mio parere, ben costruita e raccontata.
Il percorso per ritornare femmina, invece, deraglia completamente in una serie di racconti senza capo ne coda, con continui cambi di punti di vista, l'alternarsi di narratori (alcuni inutilmente grevi e volgari, altri insopportabilmente poetici e colti) in cui di trama non c'è ombra nemmeno a cercarla con il lanternino. Si salvano gli ultimi capitoletti, nei quali si torna a a una narrazione lineare che richiama l'inizio del racconto.
La mia opinione è che l'autore non sapesse proprio cosa cavolo scrivere, e allora ci ha ficcato dentro di tutto, incluse le sue molte ossessioni sessuali (alcune fastidiose e inutili), e ha ricoperto il tutto con una prosa bella, onirica, potente, e mortalmente noiosa, che tuttavia non serve a salvare il racconto.
Sa scrivere? Certo. Sa cosa scrivere? Mah, forse. E che il libro sia una cosa spuria secondo me si capisce dalle tante, troppe appendici, inclusa quella del curatore che incensa la capacità di scrittura dell'autore, ma ammette anche se in maniera sottaciuta che del testo metà non lo capiva. Potrebbe essere anche un suo limite, però, visto che in un racconto che dovrebbe essere ambientato attorno al 1930, ma con digressioni nel passato ci caccia parole come foulard (e non ve n'era una italiana, che so, velo?) e peggio del peggio "stock di racconti". Ma stiamo scherzando?
Mi ricorda per alcuni aspetti un altro "Libro del mese" del Club di lettura Il naso nei libri, ovvero El especialista de Barcelona di Busi. Anche in quel caso una grande capacità di uso della parola o di scrivere a servizio della totale mancanza di una storia da raccontare, ma almeno Busi era simpatico.

 Maria Grazia **
Ci sono libri che andrebbero letti una sola volta, per conservare intatta la magia della scoperta di una narrazione diversa da quella normalmente sperimentata, perché la storia continui a scintillare intatta nella memoria, senza che la ripetizione di una narrazione conosciuta la faccia scivolare in secondo piano rispetto al modo in cui è narrata.
Questo è quanto mi è successo rileggendo a moltissimi anni di distanza Creatura di sabbia.
L'eccesso di parole si è mangiato la storia, che pure trovavo e trovo ancora bellissima e originale, l'ha messa sullo sfondo, e ha dato spazio alla noia.

Daniela gli da ** e sintetizza: Lirico, fiabesco, noioso, ma perché lo hanno decantato così tanto?
Eh, già. Perché?
Nell’impossibilità di effettuare una vera e propria estrazione, a maggioranza abbiamo deciso di scegliere per il prossimo mese il libro di Rita che previdentemente aveva già indicato a Daniela titolo e autore. 


Ecco che il 9 settembre parleremo di La strada celeste di Xinran. Sede da definire.

Cristina

P.S. Grazie Cristina per questa puntuale ed esaustiva recensione dell'incontro. La torta che avevo preparato per la serata me la sono mangiata io insieme a marito e figli ma avrei volentieri assaggiato la pasta fredda di Daniela e le altre leccornie e goduto della vostra compagnia. 
Per la prossima volta direi che possiamo ritornare alla "nostra" trattoria, continuando però a cercare un altro posto più silenzioso e tranquillo. 
Ci aggiorniamo su Anobii. A presto.

Francesca