lunedì 5 ottobre 2020

Fiore di roccia

Se tu vens ca su ta' cretis, là che lôr mi àn soterât, al è un splaz plen di stelutis: dal gno sanc 'l è stât bagnât.
Par segnâl une crosute je sculpide lì tal cret: fra chês stelis nas l'arbute, sot di lôr jo duâr cuièt.
Cjol sù, cjol une stelute: je a ricuart dal nestri ben, tu i darâs 'ne bussadute, e po platile tal sen.
Cuant che a cjase tu sês sole e di cûr tu preis par me, il gno spirt atôr ti svole: jo e la stele o sin cun te.
Ma una dî, cuant che la vuere a sarâ un lontân ricuârt, tâl to cûr dulâ che iere stele e amôr, dut sarâ muârt.
Restarâ par me che stele che il miô sanc al â nudrît, per che lûsi simpri biele su l'Italie e l'infinît

 

Inizio questo articolo non con una citazione dal libro del mese ma con il testo, struggente, di Stelutis Alpinis di Arturo Zardini, dedicato ai caduti della Grande Guerra. 

Come spesso (se non sempre) accade, la canzone è dedicata agli uomini che hanno perso la vita al fronte, ed è rivolta alle molte donne che ne hanno pianto la scomparsa. Ma sul fronte friulano, durante il primo conflitto mondiale, hanno combattuto anche le Portatrici Carniche, che con le loro gerle trasportavano giornalmente rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane. Alcune furono ferite, una, Maria Plozner Mentil (Timau, 1884 – Paluzza, 15 febbraio 1916), ha pagato con la vita il suo coraggio.

Con Fiore di roccia Ilaria Tuti porta a conoscenza del grande pubblico la storia delle Portatrici Carniche, in Friuli ancora molto amate, ma sconosciute ai più. Agata, la protagonista del romanzo, è un personaggio inventato, sintesi di tante nonne, bisnonne e anziane che portatrici lo sono state per davvero. Nella storia finzionale si inseriscono anche personaggi reali, come Maria Plozner, e alcuni eventi reali che l'autrice condensa, per necessità narrative, nei pochi mesi in cui si svolge il racconto, anche se nella realtà si sono svolte durante l'intero conflitto.

Ne esce un racconto poetico, di forza e resilienza femminile, nel quale la determinazione e lo spirito di sacrificio fanno da contraltare all'orrore della guerra cui queste donne partecipano per proteggere figli e anziani che abitano nelle valli ma anche per nutrire i soldati perchè:

Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan.»
Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame.

Non so perchè mi sia più facile parlare dei libri che non mi sono piaciuti più di tanto rispetto a quelli che, invece, ho sorprendentemente amato o - peggio - mi hanno commosso come questo è riuscito a fare (almeno fino a quasi alla fine). Comunque questo è. Letto senza particolare interesse, anzi, pure di malavoglia, alla fine mi è sorprendentemente piaciuto. E non sono la sola. E' stato promosso praticamente da tutti, anche se in qualche punto la retorica del "tipicamente friulano" che possiamo condensare in: sacrificio, lavoro, fatica ci è parso un po' troppo rimarcata e il finale non ci ha convinto del tutto.

Lascio quindi la parola alle recensioni:

Stefania, 4 stelle
Un libro bello e profondo che racconta la vita delle portatrici carniche durante la prima guerra mondiale. Il personaggio principale è l'emblema di queste terre: le donne sempre al lavoro, che antepongono sempre gli altri a sé stesse, al limite dell'autolesionismo. Ho trovato poco verosimile la fine, in cui la protagonista e il soldato tedesco che curava in segreto a casa sua si consegnano al paese e vengono salvati. Mi sarei aspettata di più una fuga nella neve. L'istinto di protezione dell'altro secondo me in una situazione del genere avrebbe prevalso. Un happy end, condito con figli e nipoti, poco in linea con il resto del libro.

Monica, 2 stelle
Storia interessante, ma...
Questo libro è riuscito ad irritarmi dalla prima all’ultima pagina e mi duole scriverlo. Riconosco all’autrice il merito di essersi documentata scrupolosamente per raccontare la storia di queste incredibili donne di montagna, le portatrici carniche, ai più sconosciuta.
Stonata è la scrittura, parole troppo ricercate per un racconto in prima persona, seppur con protagonista una ragazza con la madre maestra e con molti libri in casa.
Mi è parso stridente utilizzare un linguaggio aulico per parlare di queste donne del mio Friuli, come Vigje quella che conoscevo io.

Cristina, 4 stelle
Bel libro, scritto con molta partecipazione dall'autrice. Il racconto è sentito, e si avverte chiaramente l'intento di far conoscere quanto fatto dalle Portatrici Carniche, che qui in Friuli sono molto amate, ma che al di fuori ben pochi conoscono.
Non riesco a dare cinque stelline per il finale, che avrei preferito diverso e avverto come un po' forzato, e per la lingua utilizzata. Mi spiego meglio: il libro è in prima persona, ambientato in un piccolo paesino della Carnia durante la Prima Guerra Mondiale, la protagonista, pur se figlia di una maestra, secondo me ben difficilmente avrebbe potuto parlare come nel libro, o almeno lo credo io.
In ogni caso, molto consigliato.

Non c’è pietra che non possa ruzzolare, i vecchi lo ripetono sempre.
Metti um piede davanti all’altro. Non staccare il secondo se la presa del primo non è ben salda.

Qualche notizia sulle Portatrici Carniche si può trovare nel sito di Donne in Carnia, e nel Museo della Grande Guerra a Timau.

Di seguito anche un breve intervento di Lindo Unfer, che per molti anni è stato direttore del Museo della Grande Guerra estratto dal film "Guerra in montagna" di Alessio Bozzer, prodotto dalla Videoest nel 2016.

 

Libro del mese di ottobre: Il circolo della fortuna e della felicità di Amy Tan.