giovedì 29 dicembre 2016

Lo schiavista

“Potremmo star qui a discutere in eterno riguardo a ciò che costituisce l’uguaglianza di fronte alla legge, così come viene definita proprio da quegli articoli della Costituzione che l’imputato è accusato di aver violato. Nel tentativo di riportare in vita la propria comunità attraverso la reintroduzione di norme, come la segregazione razziale e la schiavitù, che, data la storia culturale dell’imputato stesso, hanno finito, nonostante la loro pretesa incostituzionalità e inesistenza, con il definire tale comunità, l’imputato ha fatto emergere una debolezza fondamentale nel modo in cui noi, in quanto americani, sosteniamo di considerare l’uguaglianza. “Non mi importa se sei nero, bianco, marrone, giallo, rosso, verde o viola”. L’abbiamo detto tutti. In teoria questa affermazione doveva dimostrare che la nostra visione delle cose era priva di pregiudizi, eppure chiunque di noi, se venisse dipinto di viola o di verde, sarebbe fuori di sé dalla rabbia. Ed è questo ciò che sta facendo l’imputato. Ci sta dipingendo tutti, sta dipingendo questa comunità di viola e di verde, per vedere chi ancora crede nell’uguaglianza.”
Il libro di dicembre è Lo schiavista di Paul Beatty, libro che ha vinto diversi premi prestigiosi quali il National Book Critics Circle Award e il Man Booker Prize.
Copio la sinossi della trama dalla terza di copertina: So che detto da un nero è difficile da credere, ma non ho mai rubato niente. Non ho mai evaso le tasse, non ho mai barato a carte. Non sono mai entrato al cinema a scrocco, non ho mai mancato di ridare indietro il resto in eccesso a un cassiere di supermercato". Questo l'inizio della storia di Bonbon. Nato a Dickens - ghetto alla periferia di Los Angeles - il nostro protagonista è rassegnato al destino infame di un nero della lower-middle-class. Cresciuto da un padre single, controverso sociologo, ha trascorso l'infanzia prestandosi come soggetto per una serie di improbabili esperimenti sulla razza: studi pionieristici di portata epocale, che certamente, prima o poi, avrebbero risolto i problemi economici della famiglia. Ma quando il padre viene ucciso dalla polizia in una sparatoria, l'unico suo lascito è il conto del funerale low cost. E le umiliazioni per Bonbon non sono finite: la gentrificazione dilaga, e Dickens, fonte di grande imbarazzo per la California, viene letteralmente cancellata dalle carte geografiche. È troppo: dopo aver arruolato il più famoso residente della città - Hominy Jenkins, celebre protagonista della serie Simpatiche canaglie ormai caduto in disgrazia -, Bonbon dà inizio all'ennesimo esperimento lanciandosi nella più oltraggiosa delle azioni concepibili: ripristinare la schiavitù e la segregazione razziale nel ghetto. Idea grazie alla quale finisce davanti alla Corte Suprema.

A discutere del libro (pasteggiando e bevendo allegramente) eravamo in sette: Rita, Monica, Marilaura, Daniela, Cristina, Stefania e Zaffira ma solo Cristina e Monica lo hanno finito. Le altre sono state tutte stroncate dallo stile di scrittura, moooooolto americano. Tanto che la sensazione è quello di un monologo di un comico (di colore) che racconta la sua storia piena di episodi assurdi, anche divertenti all'inizio, ma che alla lunga stancano. La storia stessa è eminentemente "americana", piena di citazioni, riferimenti, situazioni e chi più ne ha più ne metta che - almeno per noi - solo chi conosce bene gli Stati Uniti e le infinite sfumature della loro cultura, anzi delle infinite culture che compongono il cosiddetto melting pot americano, può comprendere appieno.
Purtroppo nessuna di noi pare disporne.
Il cast del telefilm Simpatiche canaglie, molto citato nel libro
Per curiosità ho dato una occhiata alle critiche su Goodreads e devo dire che i lettori USA danno, in media, una ottima valutazione al libro, il che parrebbe confermare che il backgroud culturale del lettore in questo caso incide parecchio nel piacere (o non piacere) della lettura.
Ho trovato, data la resa della maggior parte di noi, solo le recensioni di Monica e Cristina. Entrambe danno al libro 2 stelline.

Monica (aka La verde Monica)
Troppo americano.
Idea interessante quella sviluppata in questo libro dal titolo rivelatore, ma di difficile lettura e comprensione, nonostante il tono ironico utilizzato.
Troppo americano per essere compreso fino in fondo da chi americano non è
.

Cristina
Libro difficile, almeno per me. Non ho difficoltà ad ammettere che non c'ho capito molto, intriso com'è di una americanicità che credo solo un nativo o chi gli USA li conosce bene può capire veramente. La scrittura è, secondo me, pregevole, piena di giochi di parole e citazioni. Peccato che con me fossero tutte sprecate, dato che sono italiana, bianca (anzi, na mozzarella proprio), femmina, borghese e, fortunatamente, non sono mai stata discriminata in vita mia, o se lo sono stata non me ne sono accorta. L'ho finito, ma è stato per senso del dovere. Gli ultimi capitoli aiutano a capire il libro ma l'epifania arriva un filino troppo tardi.

Durante la serata ovviamente non abbiamo parlato solo di libri ma abbiamo allegramente e serenamente parlato di noi, di festività, di alberi di Natale, di gatti e di lavoro, come giustamente si fa quando si incontrano gli amici. E in piena amicizia ci siamo scambiati i libri del Babbo Natale libresco, tutti ben impacchettati, devo dire, anche se come ci ha ricordato Daniela la prossima volta li impacchettiamo tutti in un quotidiano, così sarà garantita la completa anonimicità dello scambio.
A me, devo dire, è andata bene, ho pescato un libro che volevo leggere da molto :).

Libro di gennaio, invece, sarà La bellezza delle cose fragili di Tayie Selasi:

Prossimo appuntamento martedì 17 gennaio 2017, a casa di Zaffira, alla solita ora.
Buone letture a tutti!

giovedì 8 dicembre 2016

Babbo Natale libresco!

E' Natale, siamo riusciti a ritagliarci una serata anche in questo mese gremito di impegni e allora riproponiamo una bella iniziativa: il Babbo Natale libresco.
Ciascuno di noi la prossima serata porterà, misteriosamente impachettato, un libro.
Non importa se sia nuovo, usato, riciclato, se sia uno dei nostri preferiti o non ci sia piaciuto affatto, se sia stato scelto con cura o solo perchè ci piaceva la copertina.
Durante la cena il libro sarà messo, assieme agli altri, sulla tavola e ciascuno prenderà - a caso - un pacchetto.
Se la pesca sarà felice, bene, altrimenti pazienza.
Ho presto capito che ciò che a me non piace è per un altro un inestimabile tesoro.
A ciascuno il suo libro, a ogni libro il suo lettore.

:)

giovedì 17 novembre 2016

Una sera d'autunno, uno sparuto gruppetto...



Anne Michaels
Guarda attentamente; prendi nota di ciò che vedi. Trova la maniera di rendere la bellezza necessaria; trova la maniera di rendere bella la necessità.
Il libro di novembre è In fuga, di Anne Michaels, poetessa, scrittrice e compositrice canadese.
Banalizzando, è un libro sull'Olocausto. Uno dei tanti, tantissimi, che affrontano questa immane tragedia. A volte sono così tanti che la loro sola moltitudine un poco ottunde, anestetizza, quasi un tentativo di tenere tragedia e dolore lontani. Racconta la vita di Jakob, orfano polacco che viene salvato da un geologo greco, Athos, che lo trova nascosto nelle paludi che circondano il sito archeologico di Biskupin. Anche Athos sta soffrendo: la scomparsa dell'amatissima moglie lo ha molto provato. Scopriremo, leggendo, che soffre di depressione. E portare il piccolo ebreo dalla Polonia asservita ai nazisti fino alla natia Zante, in Grecia, è un percorso lungo, e pericoloso.
Eppure Athos lo fa, offre a Jakob una seconda possibilità, lo nutre, lo nasconde, lo accudisce, cerca con lui notizie della sorella Bella che forse non è morta, poi lo porta con se in Canada, a Toronto, dove dopo la guerra si trasferiscono, esuli ebrei come tanti sopravvissuti devono essere. E' per Jakob un padre, il secondo che la vita gli ha dato. Quello che segna la seconda vita di Jakob perchè: Nessuno nasce una volta sola. Chi è fortunato, vedrà di nuovo la luce tra le braccia di qualcuno; oppure, se sfortunato, si sveglierà quando la lunga coda del terrore sfiorerà l'interno del suo cranio.
Isola di Zante, Grecia
Dopo la morte di Athos, Jakob diventa traduttore, vive un po' in Canada, un po' nella casa di Athos in Grecia. E' lì che si trasferisce con la seconda moglie Michaela, è lì che muore, investito, assieme alla moglie qualche anno dopo. E' a questo punto che la storia passa il testimone a Ben, figlio di immigrati ebrei, che lo incontra in Università a Toronto e ne segue le tracce, per scrivere un libro, fino in Grecia.
Il libro, pur non lunghissimo, è molto denso, intenso. Un libro tragico e poetico assieme, che ha nel linguaggio, estremamente lirico, il suo punto di forza. Gli avvenimenti sono filtrati attraverso il linguaggio che la Michaels ha limato e elaborato per ben 11 anni. Tanti le sono serviti per finire il volume. Forse questa eterna gestazione spiega la discontinuità tra la prima e la seconda parte. Decisamente più riuscita la prima, anche se qui l'utilizzo dello stile lirico è molto presente, molto meno la seconda, che pure ha uno stile più lineare.
Skyline di Toronto, Canada
Allo sparuto gruppetto presente alla serata (eravamo in sei: Rita, Daniela, Monica, Zaffira, Stefy e Cristina) il libro è piaciuto, con distinguo. Se per Zaffira, che del resto lo ha scelto, è il miglior libro mai scritto sull'Olocausto, per Monica è poetico e onirico. E' piaciuto anche a Rita e a Stefania, così come a Cristina che però è stata più critica. Lo stile lirico non le piace, come non le piace leggere poesia, quindi pur apprezzando il racconto ha fatto un po' fatica a finirlo. Daniela, proprio per lo stile lirico, non ce l'ha fatta proprio. Tra la scrittura, e il periodo lavorativo pienissimo, non è andata oltre le prime pagine.
Durante la piacevolissima serata la discussione sul libro si è intrecciata liberamente con argomenti come le elezioni americane, il riciclo, l'uso consapevole delle risorse, la difficoltà di avere comportamenti etici, il latte, vaccino, ovino e di mandorle, i fiori di Bach (di cui non capisco ancora una cippa), quelli australiani, Natale e annessi e connessi inclusa l'insopportabile rottura di trovarsi i panettoni davanti a novembre che sei già sazio e ancora Natale è lontano; Ma i mercatini natalizi sono così carini! Carine anche le luci natalizie, ma sia chiaro, solo bianche eh, che colorate sono proprio volgarotte. E non provate a portare le renne illuminate dalle parti di Daniela e di Miffi, perdindirindina! Il tutto (e altro ancora che ora mi sfugge) tra progetti di andare a visitare mostre, vedere film e ascoltare concerti o farsi prendere da un raptus di spendite acuta in giro per mercatini dell'antiquariato.

E a proposito di regali: a dicembre si rispolvera l'iniziativa Babbo Natale Libresco, che consiste nello scambiarci libri misteriosamente impachettati e che decida il destino a che tocca cosa. Sto pensando di ripescare qualcosa tipo Rovente passione da qualche scaffale! uhauhauhauha. Scherzo. O forse no!

Comunque ci si vede martedì 13 dicembre, solito posto, solita ora. Libro del mese, scelto da Stefy, il recente Lo schiavista di Paul Beatty. Dicono aiuti a capire l'America che ha votato Trump...


Ritornando al libro di novembre ecco la recensione di Monica che ha dato al libro 4 stelline: 
Poetico

Un libro poetico ed onirico in cui si mescolano vita, sogni e ricordi in un continuo interscambio.
La tragedia dell’Olocausto e della più feroce cattiveria umana contrapposti all’amore in tutte le sue forme.
Amore figliale, materno e paterno, amore per la natura, passione fisica e romantica; amore per l’arte, la musica, la poesia e molto altro ancora.
Un libro tutt’altro che facile sullo sfondo di un’Europa ferita, delle isole greche di Zante e Idra e della multietnica città di Toronto.
Consigliato.


E quella di Cristina, che invece stelle ne ha date 3:

Libro molto bello che ha, secondo me, il suo punto di forza in quello che poi è la sua maggiore debolezza, ovvero uno stile di scrittura estremamente poetico o lirico che dir si voglia.
Ci sono frasi meravigliose qui. Tragedie immani descritte in poche parole di rara efficacia, come la descrizione della fine, tragica e orribile, degli ebrei inghiottiti dal mare. Però secondo me questo linguaggio non è adatto alla prosa, è faticoso, anche inutile, sinceramente, se si deve raccontare una storia.
Infatti la storia procede a episodi, poetici quanto si vuole, ma non particolarmente coesi. Come non sono coese le due parti di questo libro. Molto buona la prima, che segue la vita di Jakob e Athos dalla Polonia alla Grecia e poi al Canada, meno la seconda quando il testimone passa all'insopportabile Ben.
In entrambe le parti, ovviamente, il tema centrale è l'olocausto, le ferite insanabili lasciate dalla morte (o peggio, dall'assenza) delle persone amate, l'impossibilità, per la maggior parte delle persone che sopravvivono di vivere una vita normale, ammesso che la normalità esista.
Stupendo il personaggio di Athos, padre putativo di Jacob, e la descrizione, dolce e sensuale di Michaela. Anzi, direi che la MIchaels ha un occhio di riguardo per tutte le donne di questo libro, Michela, Naomi, Bella, ma anche la prima moglie di Jakob sono descritte con amore e una punta di sensualità (i capelli di Bella, i fianchi di Michaela).
Gran bel libro, ma faticoso.

martedì 18 ottobre 2016

Come ladri nella notte.


Il libro di ottobre è l'interessante Ladri nella notte: cronaca di un esperimento di Arthur Koestler, nato Artúr Kösztler, scrittore ungherese naturalizzato britannico la cui vita ha più di qualche somiglianza con quella di Stefan Zweig.
Non per nulla in entrambi i casi il libro è stato scelto da Claudio.
Il libro si svolge negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della seconda Guerra Mondiale e segue la fondazione, da parte di un gruppo di giovani ebrei immigrati, di un kibbuz, La Torre di Esra. La storia ci viene raccontata da Joseph, inglese, che mantiene per buona parte del libro un atteggiamento critico e distaccato, fino a quando un evento tragico lo spinge a impegnarsi in prima persona nella guerra che coinvolge ebrei e arabi. Guerra che dura ancora oggi.
Il libro è frutto delle esperienze dirette dell'autore, che ha avuto una vita decisamente avventurosa. Molto critico nei confronti dell'Inghilterra e degli inglesi che hanno molte responsabilità nel crearsi di una situazione che ancora oggi non ha trovato soluzione, non risparmia frecciate alla società ebraica, a quella araba e alla politica europea, incapace di comprendere la tragedia incombente.
Molto interessante anche la narrazione della vita nel kibbutz, con le dinamiche interne di una società costituita a tavolino, composta da persone che hanno poco vissuto in comune, unita dal sogno della Terra Promessa, di una patria propria quando tutto il resto del mondo diventa una minaccia.
Indipendentemente dall'idea che ognuno di noi si è fatto sullo Stato di Israele e sulla questione Palestinese è un libro che secondo noi va letto perchè aiuta a comprendere molti aspetti che, di fatto, in Europa non sono affrontati (se non di rado) dagli organi di informazione.
Molti degli eventi qui narrati hanno parecchi punti in comune con la situazione attuale: una guerra in corso, popoli che si spostano in cerca di una nuova Patria che consenta di sfuggire alla situazione priva di speranza nei paesi di origine, barconi alla deriva nel Mare Mediterraneo, tentativi maldestri di fermare una marea montante, incapacità politica di affrontare la situazione. Nel secolo scorso ciò ha portato a una guerra mondiale, che rischi stiamo correndo ora?
Tirando le fila del discorso possiamo dire che il libro ci è piaciuto. Ha le sue lungaggini ma la lettura ci ha permesso di approfondire alcuni punti di un periodo storico che non conoscevamo. Interessante anche la vita di comunità in cui, da una parte, si vive liberamente e le relazioni (anche sentimentali) sono fluide, ma in cui, di fatto, i limiti sono ugualmente imposti. Come in una famiglia allargata, pure impicciona.
Alla serata eravamo presenti in otto: Claudio, Stefania, Rita, Marilaura, Daniela, Monica, Cristina e Zaffira, che ci ha ospitato con la consueta gentilezza.

Al momento ho trovato solo la recensione di Daniela, che è molto lusinghiera.
Al libro da, infatti, ben 4 stelle. 
Ottimo. Libro bellissimo, sia come scrittura che come esposizione dell’argomento. A metà tra romanzo e storia, nel raccontare i primi arrivi dei coloni ebrei in terra araba, ne descrive le difficoltà, i rapporti con gli abitanti, dall’inizio negli anni ‘30 fino allo scoppio della seconda Guerra Mondiale, i successivi arrivi in massa degli Ebrei, le navi dei profughi ferme al porto e rimandate indietro, la nascita dei movimenti terroristici ebraici contro il Governo inglese.Storia, ma nello stesso tempo racconto degli stati d’animo all’interno delle colonie, la descrizione della vita regolamentata all’interno delle stesse, gli amori e gli umori degli abitanti, gli umori ed il carattere degli arabi confinanti, le violenze da entrambe le parti, il pilatesimo del governo inglese, il suo voltafaccia quando Hitler arriva al potere…Il tutto senza fronzoli o indugi di sentimentalismo, una scrittura scorrevole e coinvolgente.
 A fine serata è stato estratto colui che decide che si legge a novembre. Stavolta l'onore (e onere) è toccato a Zaffira che ha proposto In fuga della poetessa e scrittrice canadese Anne Michaels.

Ci vediamo il 15 novembre, solito posto, solita ora!


martedì 4 ottobre 2016

La recensione di Claudio! Goffredo Parise e il prete bello.

Il prete bello è stato il libro di settembre. E' uno dei libri preferiti di Claudio (come potete vedere in questo post). Ora, tirare fuori da Claudio una recensione è come tentare di cavargli i denti, senza anestesia. Quando lo fa, però, merita sempre ascoltarlo e leggerlo.

Quindi, dato che è uno dei SUOI libri, gli ho estorto una recensione completa. Eccola qui.

In un’epoca come la nostra dove le categorie spazio-temporali si riducono a un click della tastiera di un pc, leggere Parise può risultare ad alcuni fastidioso, tedioso, insulso, oppure… illuminante.
Questo perché ci rivela un tempo della realtà e della vita, oltre che forma verbale, che poco frequentiamo: l’imperfetto.
Esso inizia nel passato ma non è ancora concluso, risulta sospeso quindi ed è il tempo del ricordo, della contemplazione, della poesia.
Anche all'epoca di Parise, mentre gli altri scrittori italiani (e non solo) erano concentrati sul presente, in prima linea i neorealisti, con Pasolini ad esempio, Parise scriveva all'imperfetto e rappresentava dunque un’anomalia letteraria.
Un’anomalia che spiegava però proprio quell'“imperfezione” che Parise cercava di definire come forma poetica in grado di rappresentare una realtà sospesa tra il ricordo e il presente, tra il sogno e la veglia, tra l'essere e il divenire.
Una realtà quindi non fissa, non fattuale, non propriamente dinamica ma che definirei piuttosto “vibrante”, ed è proprio l’eco di questa “vibrazione”che Parise cerca di catturare.
Come un abile fotografo, Parise coglie l’ attimo saliente dell azione, quello che è in grado di riassumerla meglio di qualsiasi commento o perifrasi.
Così i sentimenti dei personaggi non vengono descritti ma riassunti in uno scatto imprevisto, in un ammiccamento o contrazione del viso, in un atteggiamento o postura anomala e imprevista, come quando si passa velocemente davanti a uno specchio e ci si sente o sorprendentemente belli o tremendamente brutti.
Sembra quasi che i personaggi del libro passati attraverso la descrizione prismatica dell'autore assumano una terza, quarta dimensione che li deforma fino a confonderli con il contesto come in un quadro divisionista vibrante di luce e ombra: appare chiaro che a Parise non interessino le luci o le ombre dei personaggi e delle loro vicende ma il gioco del loro intreccio.
Così nel libro il paesaggio diventa intreccio di case e ballatoi, i tramonti sono invariabilmente color granatina, cioè fusione di rosso e viola, le vie sono intricati vicoli, i sentimenti crogiolo di opposte e vivide passioni in un altalena di euforia e depressione che trasporta le persone come su una giostra impazzita.
L’anomalia, l’imperfezione, la vibrazione (nel senso di “inquietudine”) sono infatti i tratti che meglio definiscono i personaggi del romanzo “Il prete bello”.
Anomalo è Don Gastone rispetto agli altri preti e rispetto al contesto in cui è catapultato, troppo bello, giovane, elegante.
Anomali, imperfetti e inquieti sono anche gli altri personaggi, che all’apparenza sembrano inappuntabili e invece covano frustrazione, rabbia, solitudine, aneliti soffocati, grettezza, meschinità e lascivia, e sono chiusi nella loro corazza, nel loro status, isolati e quindi “anomali”.
L’unico personaggio non “anomalo” nel romanzo è Sergio, il bambino che narra la storia (ovviamente alter ego dello scrittore) perché non contaminato ancora dalle velleità degli adulti. Egli infatti non si muove, non agisce, ma viene comunque trascinato suo malgrado nelle vicende paradossali degli altri protagonisti.
Sergio non è “anomalo” in quanto la sua azione è strettamente legata alla realtà, al soddisfacimento dei bisogni primari, a finire la giornata con un buon pasto e una sana dormita. 
La povertà è conoscere le cose per necessità diceva Parise.
Una specie di Lazzarillo de Tormes quindi che sfrutta le bramosie, gli appettiti e  i pruriti interiori degli altri a proprio vantaggio, un puer-senex che conosce la vita e è disilluso, pietra di paragone che al lettore fa sembrare  ridicola e tragica la farsa dei personaggi del libro.
Sarà proprio la millanteria, la velleità dei personaggi che  decreterà la loro fine: la vanità di don Gastone, la lussuria del sarto, la frustrazione della signorina Immacolata, la superbia del cavalier Esposito, il miraggio di una vita migliore (Cena).
Don Gastone, simbolo di virilità e eleganza, finirà i suoi giorni in un cronicario per sifilitici, deturpato nel fisico e nell'onore, la signorina Immacolata ripudiata si lascierà trascinare nell'oblio della vecchiaia, il cavalier Esposito precipita con tutto il suo onore e la sua latrina pensile, Cena sarà vittima del suo “miraggio” di libertà (la bicicletta). Eppure il senso del romanzo non si conclude nella giusta punizione della vacuità di una parte della società, ma piuttosto nell'amara constatazione che tale vacuità è insita nelle cose, che oggetti e uomini  vivono, si corrompono e muoiono e che il tentativo di opporsi ad essa é vano.
Tutto sotto questo sole è vanità sembra dire Parise, tutto si corrompe.
E le note di questa corruzione rieccheggiano in tutto il romanzo, nei luoghi, negli oggetti, nelle persone e nel loro animo.
Sono i ballatoi caliginosi, i vicoli bui e malsani, le acque limacciose degli stagni, le mobilia impolverate e cigolanti della signorina Immacolata che pare si lamentino della loro sorte, sono i calzini del prete perennemente rammendati o le toppe sui vestiti di Cena e Sergio.
Tutto è passeggero, ed è proprio questo “passaggio”che Parise ci racconta nel libro.
Don Gastone entra in scena come un San Luigi Gonzaga, un Robin Hood e
poi si ridimensiona, si annulla, trascinando con sè lo stuolo di ammiratori e spasimanti, novello pifferaio di Hamelin che però affoga anche lui con i suoi topini.
Parafrasando Cardarelli Parise ci dice
l’idea che ci facciamo d’ogni cosa è cagione che tutto ci deluda. E’ mal sognare il vero, architettar l’ignoto. Il male è nella nostra fantasia che perfetto e mirabile si finge ogni evento, è nell ansiosa attesa del giorno beato, del fortunato incontro che poi ci disinganna.
Ed è proprio il disinganno uno dei temi del libro, il disinganno più spietato, più amaro, presente non solo nelle aspirazioni, negli afflati dei personaggi, ma caratteristico di un’intera società repressa e animata da valori violenti ed effimeri.
L’altro tema del libro è la povertà, intesa sì come mancanza di mezzi ma soprattutto vista in antitesi alla povertà di sentimenti e di valori dei più, come legante sociale che accomuna le persone e ne esalta i legami di amicizia, di amore, di solidarietà; in definitiva, le rende più “vive”, insomma una povertà “ricca”.
Sono infatti i poveri, gli umili che nel libro emergono, perché agiscono insieme, socializzano, perfettamente coscienti della propria dignità, mentre i superbi sono chiusi nel loro astioso isolamento che li condannerà all'oblio.
Altro tema è la libertà intesa come libertà di espressione non solo dei propri diritti ma anche delle emozioni e dai vincoli repressi da  una società disumana e bigotta.
Il “prete bello” è dunque un libro che ci parla dell’importanza dei legami sociali e affettivi, di solidarietà, di umiltà, di compassione ed è quindi ancora molto attuale oggi in una società dominata dall’ego e dall’apparenza.

domenica 25 settembre 2016

Si fa per sorridere... e quattro!

Rilassati amico. Hanno inventato l'aspirapolvere e io sono ancora qui.

Prova a fare questo con il kindle.

mercoledì 21 settembre 2016

Il prete bello e un Italia che non c'è più...

Il libro di settembre è Il prete bello, di Goffredo Parise.
E' stato scritto negli anni 50 del secolo scorso ma è ambientato nel ventennio fascista, qualche anno prima che l'Italia entrasse in guerra. Narra la vita in gruppo di persone che orbitano attorno a un caseggiato di una piccola città del Veneto (Vicenza probabilmente), di proprietà della signorina Immacolata, ricca e raffinata. Non molto raffinati invece gli inquilini del palazzo tra i quali brillano un vedovo con prole il cui principale orgoglio è il WC personale e un nutrito gruppo di zitelle tutte innamorate di don Gastone, il Prete Bello. Le varie vicissitudini dei personaggi sono raccontate da Sergio, 11 anni, che vive nel palazzo con i nonni e con la mamma. Un poco bambino, un poco ruffiano, Sergio nonostante la giovane età ha già dovuto affrontare le difficoltà della vita, la miseria, il freddo e la fame e passa le sue giornate a tentare di mettere assieme qualche soldo, crescendo prima del tempo. Dei vari personaggi conosce vita morte e miracoli e non esita a sfruttare le debolezze di ognuno, soprattutto quelle ormonali delle terribili zitelle che vivono (e sognano) del Prete Bello prese come sono dalla passione. Gli equilibri, soprattutto quelli di don Gastone, sono sbaragliati dall'arrivo, nel caseggiato, di Fedora, giovane, bella e sensuale, che farà innamorare tutti di lei, con conseguenze purtroppo anche tragiche. Nota di colore: dal libro è stato tratto un film, omonimo, diretto da Mazzacurati.

Alla serata eravamo presenti in sei: Zaffira, accogliente padrona di casa, Stefania, Monica, Marilaura, Cristina e Claudio che ci ha viziati portando una voluttuosa torta nassi e cioccolato. Il libro è uno dei preferiti di Claudio e mi ha promesso, prima o poi, una recensione coi fiocchi (EDIT. L'ha scritta, l'ho letta con gli occhi di questa faccia: eccola qui). Nell'attesa che la scriva riassumo brevemente la nostra discussione sul libro che, all'unanimità, giudichiamo molto ben scritto.
Meno ci hanno convinto i personaggi che, come detto da Marilaura, sono spesso poco approfonditi e anche poco simpatici. Monica, che per uno di quei casi che capitano ma lasciano sempre sorpresi ha trovato il libro in bella vista tra quelli lasciati a casa dei genitori secoli fa, ha molto amato il libro (come vedrete dalla sua recensione). Cristina è più critica, soprattutto sulla descrizione della torma di zitelle ottenebrate dalla presupposta passione, soprattutto perché trova il personaggio di don Gastone davvero insipido e poco convincente come oggetto di siffatta ossessione. Pur concordando sull'insulsaggine del Prete Bello (una figura egocentrica e infantile sotto molti aspetti) Monica, Marilaura e Stefania invece trovano la cosa più probabile data l'epoca storica, periodo in cui il prete rappresentava una delle figure chiave del paese, una autorità e un punto di riferimento imprescindibile della vita sociale di una comunità. E le zitelle sono le tipiche beghine di paese, figura che si può ancora incontrare, nonostante il passare degli anni.
Tirando le fila del racconto diciamo che, pur con riserve, il libro ci è piaciuto perché ci ha fatto rivivere un Italia che non c'è più, un mondo piccolo ma proprio per questo riconoscibile, che ci appartiene o appartiene, almeno in parte, al vissuto dei nostri nonni e dei nostri genitori.

Ecco le recensioni che ho trovato:
Monica 4*
Sedotta dal prete bello 
Ci sono dei libri che entrano a far parte della tua vita e vi rimangono per sempre.
Altri che ti accompagnano per il fugace periodo della lettura. Ci sono libri che non puoi fare a meno di leggere e quelli che eviti come la peste per svariati motivi.
"Il prete bello" di Goffredo Parise, per quanto mi riguarda, apparteneva all'ultima categoria.
Poi all'improvviso, eccolo lì, è il libro proposto come lettura mensile ad un piacevolissimo gruppo di lettura e giorno dopo fuoriesce con la sua copertina rossa ed impolverata da uno scatolone pieno di vecchie edizioni tascabili Garzanti.
Ovviamente non può essere un caso! Semmai il caso grave è non averlo letto prima.
Gran bel libro, ben scritto, con quello stile che ti cattura facilmente e accompagna fino alla fine.
Un romanzo corale che mi ha ricordato prepotentemente "Cronache di poveri amanti" di Vasco Pratolini che da ragazzina avevo divorato.
Nella provincia veneta degli anni '30, in un quartiere povero ed in particolare in un caseggiato fatiscente, si muovono Sergio (voce narrante), la sua famiglia, gli amici, le vicine zitelle ed un corollario vario di personaggi particolari e ovviamente Gastone, il prete bello.
Un breve romanzo che fa sorridere, intristisce e che mi ha riportato indietro nel tempo, a certi racconti di vita vera che mi facevano i nonni.
E ora mi è scattato il desiderio di vedere o meglio rivedere con maggiore attenzione i film ispirati a questo romanzo di Parise. Sorridendo mi viene da dire: caspita don Gastone, miracolosamente hai stregato pure me!


Stefania 4*
 Un libro su un'epoca, quella del fascismo e su una condizione sociale, la miseria. Ambientato in un palazzo di una indefinita città veneta, è narrato in prima persona da un ragazzino povero, di padre ignoto, che vive con la mamma e i nonni. Fame, furtarelli, richiesta della carità. I personaggi sono appena accennati e prendono spessore solo alla fine, solo in parte. Tutta la vita del palazzo gira attorno al prete bello, circondato da beghine innamorate, un uomo vanitoso e un po' stupido che fa del bene al protagonista quasi per caso.

Cristina 3*
Per quanto sia sorretto da un'ottima scrittura non riesco a dargli più di tre stelline. I personaggi sono monodimensionali, più macchiette che personaggi, la trama è più un insieme di episodi tenuti (a stento) assieme da alcune figure chiave, il prete sarà anche bello ma quanto è insipido e le zitelle sono insopportabili.
Concordo con chi lo definisce un romanzo picaresco, pieno com'è di personaggi ai limiti che vivono di espedienti, ma mancano, almeno per me, brio e allegria e quella furbizia popolana che tutto si fa perdonare. Resta la fame, quella che hanno patito i nostri nonni e i nostri padri, che fa comprendere molte cose, e una sensualità che pervade tutto il libro, sempre sottintesa ma molto presente. Su tutti Fedora, che della sensualità narrata nel libro si fa corpo rigoglioso, bramato, e alla fine anche "redento" dalla capacità di amare che, unica, dimostra. Il resto è un misto di ossessioni, miserie, qualche timido tentativo di lieto fine e una tragedia finale. Inattesa, ma l'ultima parte per me è splendida. Nella prima un poco ho arrancato.


Prossimo incontro martedì 11 ottobre, a casa di Zaffira.
Libro del mese, anche stavolta scelto da Claudio ma con regolarissima estrazione alla cieca è: Ladri nella notte di Arthur Koestler.

lunedì 29 agosto 2016

Si fa per sorridere... e tre!

Li ho provati entrambi, ma preferisco sempre i libri cartacei al kindle!






La ballata di Iza

Altro libro, altra figura femminile interessante e non banale.
La ballata di Iza di Magda Szabò è un libro impegnativo, dalla scrittura fitta, persino pesante, ma che riesce a farci riflettere sul nostro rapporto con le persone anziane, su come con esse ci rapportiamo e anche a farci fare un opportuno esame di coscienza prima che, come per la protagonista del libro, sia troppo tardi.
Il libro è ambientato tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, in Ungheria.
Etelka, anziana che ha sempre vissuto in provincia, perde l'amato marito Vince. La figlia Iza, che è medico, la porta a vivere con sé nella grande città.
Lo sradicamento, il dolore per la perdita dell'amato marito ma anche delle sue abitudini, l'incapacità di comunicare con la figlia, molto, forse troppo, amata, il comportamento di Iza, tolgono a Etelka ogni possibilità di dimostrare quella vitalità e capacità di amare che, benchè sia anziana, non l'hanno abbandonata.
Purtroppo Iza non capisce il dolore della madre, forse è addirittura incapace di comprenderlo, di comprendere quello che il suo decisionismo, la sua necessità di controllare le persone, sta causando a Etelka, ha causato a tutti quelli che le stanno intorno. Forse lo scoprirà alla fine, quando è troppo tardi.
Il libro è scritto benissimo. Ogni personaggio ha la possibilità di aprirsi al lettore, di raccontare i propri sentimenti, il proprio vissuto, quello che pensa e prova. Eppure non c'è identificazione con il personaggio; è come se l'autrice avesse voluto farli camminare accanto a noi, presi in una conversazione in cui essi si svelano, ci parlano, ma mai ci appartengono. Iza, in particolare, rimane remota. Tutti i personaggi ce la descrivono, ci raccontano di lei, eppure solo nell'ultima scena riesce a essere umana e non la rappresentazione perfetta della buona figlia, compagna, medico o quanto altro cerca di essere.
Alla serata eravamo in sette: Daniela che ci ha ospitato nel suo bel giardino circondati da una cagnotta affettuosa e gatti giocherelloni, Stefania, Monica, Cristina, Claudio, Rita e Katia. La discussione è stata vivace, non tanto sul libro che come detto è scritto molto bene, con personaggi ben delineati, ma su quanto dal libro evidenziato, sul rapporto della nostra società con le persone anziane che pur avendo ancora tanto da offrire si vedono relegate in un angolo, a volte perchè i loro tempi sono necessariamente diversi, ma a volte anche per desiderio di proteggerli.Comunque sia, non è questo un paese per vecchi.
Pareri divisi, come spesso accade: Daniela, Monica e Katia lo hanno amato, così come Rita. Stefy e Cristina non ce l'hanno fatta a finirlo, per mancanza di tempo o di forza d'animo (vedi sotto). A Claudio non è piaciuto. Comunque un libro da leggere, se non per il piacere di farlo per capire qualcosa su sé stessi.

Queste le recensioni che ho trovato in giro per l'etere:
Daniela (Emilia) 5*
Ho rivissuto emozioni seguite alla morte della mia nonna, con la certezza ormai compresa che anche lei aveva sofferto moltissimo quando la figlia (mia madre) ha chiuso definitivamente la sua casa e l’ha portata a vivere con sé, ormai troppo anziana per autogestirsi ma troppo viva e vitale per essere “badata” in casa sua da estranei. La protesta velata della nonna era contro la noia delle giornate e chiedeva continuamente di poter fare qualcosa di bello per passare il tempo, ma il suo prodigarsi nel fare i letti di tutti, a far da mangiare o altri lavori di casa cui si era dedicata tutta la vita, veniva visto con irritazione da mia madre, che non tollerava (lei così precisa e ordinata) di vedere i letti fatti un po’ sghembi, i pranzi troppo grassi per i suoi gusti, ecc. ecc. Nemmeno le sue lunghe chiaccherate con le vicine (curiose e pettegole secondo mia madre) erano tollerate perché c’era sempre la possibilità che la nonna raccontasse qualcosa di troppo privato che generalmente mia madre teneva all’interno della propria famiglia. La difficoltà inoltre nell’accogliere, in una casa con la distribuzione dei ruoli già collaudata, una persona nuova, ha portato senz’altro ad una confusione generale mal tollerata. La storia della nonna non è finita tragicamente come quella di Etelka, ma restano le domande più intime sul nostro modo  di scombinare così fortemente gli ultimi anni della vita delle persone a noi più vicine arrogandoci il diritto di sapere cosa è meglio per loro o pretendendo che cambino totalmente i loro ritmi e le loro occupazioni senza rispettare i loro sentimenti e i loro bisogni di poche ma importanti certezze.
Iza poi è così brava e perfetta da non capire che Etelka era più legata all’ex marito di Iza che a lei, sua figlia. Così sicura di aver fatto sempre le cose giuste da rimanere offesa quando l’ex marito le fa notare la sua incapacità di amare e le ricorda che anche lui se ne è andato perché cercava un affetto profondo e vero piuttosto che una posizione sociale più importante ed uno standard di vita moderna.
Un libro bellissimo, commovente, che pone moltissimi pensieri sulla nostra capacità di amare. 

Monica (la verde Monica) 4*
Attenzione! Anche questa volta non ritengo necessario scrivere cenni riguardanti la trama dato che è facilmente reperibile qui o altrove. Mi piace “appuntare” le mie sensazioni. E in questo caso aggiungere un titolo: attenzione! Forte rischio di immedesimazione.
Ebbene sì, ritengo ci sia un’altissima possibilità di immedesimarsi in qualcuno dei protagonisti e da qui a partire per un “valzer” di dubbi, pensieri e pare mentali, il passo è breve.
Non raccontiamocela troppo: invecchiare non è come partire per fare una bella e piacevole passeggiata…
E prima o poi ci ritroviamo lì… o abbiamo a che fare quotidianamente con qualcuno che è lì…
Siamo o diventeremo così insofferenti, falsi, egoisti, superficiali oppure troppo legati al passato, o allergici alle cose vecchie e così via? Siamo o saremo migliori o peggiori di Iza per esmpio?
Quindi in poche parole posso dire che siamo in presenza di un bel libro, ben scritto, profondamente intenso. Mi è piaciuta molto la scelta dell’autrice di dividere i capitoli in base agli elementi terra, fuoco, aria e acqua. Sono invece perplessa sulla scelta del titolo dell’edizione italiana.

Maria Grazia (Ombraluce) 5*
Una ragazza con una volontà più forte e grande della sua anima. Una di quelle persone ammirate da tutti per i loro incredibili risultati, ritenute buone e generose, e che invece mascherano il loro mostruoso egoismo dietro una maschera, perché la loro bontà non è altro che un modo per piegare gli altri alla loro volontà.
Una maschera così forte da ingannare persino se stessi.
Solo quando avrà perso tutti coloro che l'avevano amata, e che sono penetrati dietro la maschera, la ragazza imparerà qualcosa su se stessa, ma sarà troppo tardi.
Un libro bellissimo, scritto benissimo, da cui si può imparare molto, soprattutto su se stessi e le proprie motivazioni.


Cristina SV
Eh, niente. Non ce l'ho fatta. Lo abbandono.
E' il classico: non è colpa tua, è mia, non ti merito.
Il libro di cui ho letto comunque una buona metà è bellissimo, davvero.
Ma in questo momento della mia vita non ce la faccio a leggerlo.
L'insistenibile gravezza del testo (frase rubata alla bellissima recensione di Sakura87: https://www.goodreads.com/review/show...) ha avuto la meglio su di me.
Bellissimo ma non ce la posso fare.
 


Ci si vede martedì 13 settembre. Libro per il prossimo mese è Il prete bello di Goffredo Parise, scelto da Claudio.
 

venerdì 22 luglio 2016

Crimini in Islanda..

Islanda... a guardare le immagini sui cataloghi e sul web è un posto meraviglioso (cosa di cui non dubito), pieno di sole (qui dubito parecchio) e pieno di gente felice. Recenti sondaggi giurano che gli islandesi sono il popolo più felice sul pianeta, come se la felicità fosse una costante misurabile nel tempo.
In una vecchia intervista un famoso giallista nordico disse che ben difficilmente il giallo nordico avrebbe avuto successo alle nostre latitudini e che su al Nord il romanzo poliziesco è usato per fare critica sociale. Credo fosse Mankell, ma la memoria mi abbandona e negli anni la categoria dei giallisti nordici si è allargata a dismisura e ora comprende autori che vanno dall'olandese all'islandese passando per Svezia e Danimarca come se fossero un tutt'uno. Comunque sul primo punto si è sbagliato alla grande (buon per lui e per i suoi diritti d'autore), sul secondo ha indubbiamente ragione visto che tutti ma proprio tutti i gialli nordici letti ritraggono a tinte fosche rapporti umani, lavorativi e situazione sociale dei luoghi narrati. Non che il giallo italiano, tanto per dire, descriva tutto come se fossero rose e fiori ma manca - o manca in quelli da me letti - sta cappa di sfiga e infelicità.
Un grande gelo di Arnaldur Indriðason inizia con l'omicidio di un bambino. Il bimbo è figlio di un uomo islandese e di una donna thailandese quindi le indagini affrontano la questione razziale, il rapporto del popolo islandese con queste persone che arrivano da altre nazioni e che, a volte, rifiutano addirittura di imparare la lingua, men che meno di adattarsi agli usi e alla cultura del paese che li ospita ma anche li rifiuta. Alla fine la soluzione del giallo è tragicamente banale, come a dire che il male non ha poi bisogno di grandi gesti o di grandi motivazioni. Lo trovi ovunque, in qualunque ambiente e in qualunque situazione.
Martedì eravamo a ranghi ridotti, visto il periodo estivo e alcuni impegni concomitanti dei membri del Club di lettura; eravamo presenti in cinque: Rita, Daniela, Monica, Marilaura e Cristina oltre a Zaffira che ci ospita.
La serata era estremamente piacevole e abbiamo gustata l'ottima cena in giardino, alla luce delle candele. La discussione si è concentrata più che sul libro sull'argomento trattato ovvero su immigrazione, accoglienza, razzismo. Di fatto problemi che stiamo tragicamente affrontando anche in Italia. La lettura del racconto ha evidenziato aspetti del popolo islandese che non ci aspettavamo. L'idea generalmente diffusa è che i paesi nordici siano evoluti e quindi più preparati di noi ad affrontare le problematiche sociali. Invece, pare dirci Indriðason, tutto il mondo è paese.
Complessivamente il libro ci è piaciuto anche se come giallo lo abbiamo trovato deludente. Come ha ben riassunto Rita: non è granchè ma il suo mestiere lo ha fatto.

Il prossimo mese riunione atipica, ci vedremo a casa di Daniela per una cena molto informale o per un gelato martedì 23 agosto.

Il libro del mese è stato scelto da Rita ed è La ballata di Iza di Magda Szabó.



martedì 21 giugno 2016

Una scoperta tardiva.

Il libro del mese di maggio è Stoner di John Edward Williams. Inizialmente pubblicato nel 1965, con buone critiche ma modesto successo editoriale, viene riscoperto nel 2006, quando viene ripubblicato diventando presto un best seller, almeno in Europa. Un best seller dovuto prevalentemente al passa parola, oltretutto, con ben poche spinte editoriali.
Insomma, niente fascette che strillano: il miglior libro del secolo, qui.
Tuttavia è sicuramente il libro che più abbiamo discusso al club di lettura.
Il protagonista del libro ha, almeno dal punto di vista della biografia, molti punti in comune con il suo autore.
Stoner è figlio di contandini, l'autore proviene da una famiglia di bassissima borghesia ma lo è solo da una generazione, visto che i nonni erano contadini pure loro. Come Stoner l'autore arriva tardi agli studi universitari anche se qui i motivi divergono, dato che Williams si arruola e partecipa alla seconda guerra mondiale (con riluttanza). Rientrato dalla guerra si iscrive all'Università di Denver dove si laurea in Arti e letteratura (traduco un poco a cavolo, non c'è l'esatto corrispondente, ma più o meno ci siamo). In seguito proprio a Denver diviene Professore di letteratura inglese, e lì resta fino alla pensione.
A questo punto spero vivamente che vita e arte divergano, altrimenti il buon Williams ha avuto una vita davvero triste e miseranda.

Tutta la vita di Stoner si trova nella prima pagina del racconto, nella sua minuscola cosmicità. Ma non sono i fatti a essere importanti. Del resto è una vita tranquilla, le cui tragedie - e ce ne sono - sono sottaciute, vissute in privato. Subite, mai combattute. Stoner è un uomo che pare incapace di combattere, di ottenere quello che vuole, la cui risposta primaria è sempre e solo quella di arretrare, e di rinunciare. Rinuncia all'amore, alla figlia, alla carriera, a scrivere, alla fine anche a vivere. Non riesce mai a contrastare la moglie (francamente una megera) nemmeno quando è della serenità della figlia che si tratta, ben raramente contrasta il suo capo dipartimento, che lo odia. Nei rapporti con gli studenti a volte si sente partecipe, più spesso si vede come figura misera e inutile. Ammette, senza fronzoli, di non essere un buon insegnante, che avrebbe potuto fare di più.

Il libro, scritto davvero bene, segue il protagonista per tutta la sua vita. Di Stoner conosciamo pensieri e vicissitudini, e tutto è visto dal suo punto di vista. Ma è un punto di vista estremamente attento nel non prendere posizione, limitandosi a narrare la vita del protagonista senza prendere le parti di nessuno.
Di fatto ci siamo più interessati ai personaggi che al libro. Per qualcuno Stoner è un eroe - non eroe, una figura di rottura rispetto al protagonista vincente che di solito si incontra nei libri. Abbiamo dibattuto a lungo se sia o meno una figura positiva. Sicuramente le sue azioni - o meglio la mancanza di azioni - hanno segnato profondamente la vita di chi lo ha conosciuto. La figlia, in particolare, è stata distrutta dalla guerra (combattuta solo da una parte) tra la madre e il padre, di cui è stata incolpevole pedina. Anche Katherine, l'amante, vede buona parte della sua carriera minacciata. Su tutti la moglie, come detto una megera terrificante, il cui unico scopo nella vita pare essere rendere quella di Stoner un inferno, e ci riesce. Chissà cosa avrà pensato la moglie vera di quella letteraria!
Ecco, avremmo voluto sapere di più di questa donna, capirla meglio, avere qualche ragione per il suo comportamento.
Sarà anche, come dice Claudio, che molti personaggi femminili del periodo sono così, ma il fatto che "l'abbiano scritta così" non è molto soddisfacente, almeno per me.

Il libro è estremamente consigliato: è scritto meravigliosamente, e per quanto la vita di Stoner sia insignificante (o lui la ritenga tale) ci sono in questo racconto immagini potenti, e al contrario di molti libri la parte finale è davvero stupenda. L'immagine dei ragazzi che corrono sul prato del campus quasi senza lasciare traccia è pura poesia, come le lacrime silenziose della madre di Stoner. Dove e quando queste scene si trovino lo dovete trovare da soli.
Ne varrà la pena, anche se a volte vorrete badilare il protagonista e strozzarne la moglie.

Ecco le due recensioni che ho trovato sul web:
iniziamo con La verde Monica che dà al libro 4 stelle:
Il libro narra la vita di Stoner. Ma chi è veramente Stoner?
Un uomo come tanti che per quieto vivere si lascia scorrere addosso le cose negative della vita senza reagire?
Oppure un uomo che nonostante tutto riesce a trovare rifugio nelle sue passioni: la letteratura e l’insegnamento opponendosi alla vita segnata che lo voleva contadino?
Potrebbe essere un anti eroe o eroe perché decide di non partire per la guerra, un uomo per bene che resiste coraggiosamente alle tirannie di una moglie affetta da disturbi bipolari, un papà meraviglioso che accudisce la figlia da piccola, ma poi incapace di “riacciuffarla” quando da grande scappa volontariamente da casa, diventando alcolizzata. Testardo in qualche occasione, passivo in molte altre.
William Stoner: un uomo, con tutti i suoi umani limiti. Ma quanta rabbia provocano i suoi "non importa, va bene così".
L’autore non prende mai posizione, semplicemente racconta la vita di quest’uomo e lo fa decisamente bene. Un libro pervaso di malinconia da cui ognuno può trarre le sue conclusioni/riflessioni. Da leggere e da leggere fino alla fine perché le ultime pagine sono meravigliose.


Segue Cristina, 3 stelle
Libro scritto meravigliosamente, con un protagonista all'apparenza "perdente" e remissivo ma che, secondo me, alla fine ha vissuto come voleva (o forse ha capito meglio di me il senso della vita, il che è una vittoria di per se stessa).
William Stoner è quello che definiamo una vittima della vita, anzi, peggio, un perdente. Non si ribella mai a nulla, alla moglie (si dovrebbe scrivere un saggio solo su questa figura di donna, così arpia che viene la tentazione di limitarsi a prenderla così com'è ma che, da qualche parte, DEVE avere una tragedia da raccontare altrimenti è solo lo stereotipo della mogli castrante), ai colleghi (e pure qui viene da chiedersi se Lomax sia solo lo stereotipo del collega frustrato e castrante pure lui, o se lo hanno disegnato così per un motivo), dalla figlia (che ama ma non abbastanza da lottare per lei, o forse lo fa ma come lotta per tutto il resto, ovvero rinunciando), dagli alunni, pure dalla malattia e dalla morte.
Eppure nelle sue rinunce io ci vedo una forte personalità, una integrità profonda, che Stoner stesso decide di non opporre alla vita, a moglie, colleghi, lavoro. Come se nelle sue sconfitte trovasse il senso stesso della sua esistenza. Del resto quando (raramente) vuole qualcosa lo ottiene: studia inglese nonostante il peso del sacrificio e delle aspettative dei genitori, non si lascia sfruttare dai parenti, riesce a farsi cambiare orario da Lomax. Allora perché lasciarsi scorrere tutto il resto addosso? Perché non reagire praticamente mai? Perché non lottare per ciò a cui tiene?
Un antieroe totale, insomma, distante anni luce dal vincente classico, eppure eroe comunque.Come detto il libro è scritto meravigliosamente, tuttavia moglie, colleghi, amante, pure gli alunni mi sembrano stereotipi e non personaggi. Delle loro motivazioni, soprattutto quelle della moglie, nulla sappiamo. Il racconto segue Stoner, raramente gli altri.
Per tutta la lettura, inoltre, viene voglia di scuotere quest’uomo, di dirgli di reagire, da ribellarsi. Così la lettura passa nell’attesa dell’evento, della ribellione, della reazione di cui il lettore sente il bisogno per poter ricevere, dalla lettura, una qualche consolazione.
Invece niente.
Alla fine la tentazione di urlare è piuttosto forte. AAAAAAAAARGH!


Libro del prossimi mese: Un grande gelo di Arnaldur Indriðason:


 Ci si incontra martedì 19 luglio a Casa di Zaffira, come sempre alle 20.00.


lunedì 23 maggio 2016

Prima vivevo in un modo buono...


Svetlana Aleksievic - giornalista e scrittrice
Le rivoluzioni arrivano non quando qualcuno le vuole, ma quando pare a loro.

Quello di maggio è un libro complesso sia nella struttura che nella lettura. Molto corposo, ha un'inusitata quantità di note esplicative (occupano circa un quinto del volume) la cui lettura è spesso necessaria alla contestualizzazione delle storie narrate.
E' evidente sin dai primi racconti che in "occidente" poco si sapeva e poco si sa tuttora di quello che effettivamente è accaduto nell'ex Unione Sovietica. Presi dall'entusiasmo per la caduta "del Muro" (fisico tanto quanto metaforico) poco ci è interessato di coloro che sono rimasti sotto le macerie e di chi dalla polvere sollevata è rimasto soffocato. Come spesso accade ci siamo fermati alle apparenze, alle prime pagine dei giornali. Questo il libro di Svetlana Aleksievic non lo consente.

Essere delle vittime è talmente umiliante... Si prova solo un senso di vergogna.

Nell'accavallarsi delle storie raccontate e nella cacofonia delle voci e delle grida di chi alla giornalista ora Premio Nobel racconta la sua storia c'è tutto il dolore e lo smarrimento di un popolo che ha visto la propria identità culturale e la società in cui viveva disintegrarsi in pochissimi anni.
Purtroppo dalle ceneri del mondo sovietico (ora esecrato ora rimpianto, a volte anche tutte e due le cose) non sembra essere nato un mondo migliore. Se sia vero, tuttavia, che Prima vivevo in un mondo buono, adesso quel mondo non c'è più e non ci sarà mai più quello lo deciderà la storia, il futuro.

Per noi i libri sostituivano la vita. Era il nostro mondo. Poi è accaduto qualcosa... siamo tornati coi piedi per terra. Quella sensazione di felice euforia si è dissipata. Completamente, senza traccia. Ho capito che quel nuovo mondo non era, non poteva essere mio. Era fatto per gente di tutt'altro tipo.

Il libro non lascia molti spiragli di speranza, anche se l'ultima storia "Osservazioni di una donna comune" chiude in un certo qual modo con una nota positiva (o almeno non negativa): ha visto che bei lillà? La notte, quando esco, risplendono... Resto li a guardarli. Ora vado a raccoglierne un mazzo per lei...

All'incontro eravamo particolarmente numerosi, ben undici! Di fatto mancava solo Augusta, trattenuta da impegni familiari. Come sempre la serata è passata in allegria, allietata da una splendida cena e da tante chiacchiere. Rientravano nel gruppo dopo qualche mese di assenza Katia e Francesca. A voler essere proprio proprio sinceri non è che lo abbiamo finito tutti, il libro. Non era solo corposo ma anche un poco ripetitivo e pesante. Tuttavia forniva non solo uno spaccato veritiero sulla storia recente dell'ex blocco sovietico ma anche una chiave di lettura di molti avvenimenti recenti e no che hanno e avranno conseguenze anche su di noi.

Ci è piaciuto? Diciamo che i pareri sono stati discordi (come quasi sempre) ma che tutti abbiamo apprezzato il suo valore come testimonianza. Difetti? un poco ripetitivo e lo stile, spezzettato, che non facilitava la lettura.

Nell'etere per ora solo due opinioni, che copincollo:
Daniela 4*
Splendido libro, l'autrice riporta attraverso le sue conversazioni con la gente (la povera gente) lo sfascio dell'Unione Sovietica e le conseguenze della caduta del comunismo. Tutto ciò in cui ha creduto, le aspettative, la cruda realtà, la perdita della protezione (finta?), l'impatto crudo con il consumismo, la scoperta di un mondo sconosciuto dove chi è senza pelo sullo stomaco prevarica gli altri. Noi che da qui gioivamo sulla perestrojka, scopriamo che i russi hanno ricevuto uno schiaffo potente alla loro vita.
La scrittrice raccoglie le storie crude della popolazione rimasta al palo, e lo fa in modo ammirevole, un Nobel veramente meritato. 

Cristina 2*
C'è un programma che prende tutte le tue foto, le mischia come pare a lui e poi le ricompone a creare una immagine tutta nuova. Si parte dall'immagine che si vuole ottenere, e poi il software sceglie le immagini adatte a completare il quadro. Credo sia così anche qui. L'autrice voleva farci arrivare una immagine definita, ha scelto le storie che quell'immagine aiutano a creare. Altrimenti qualche storia con almeno un minimo di lieto fine da qualche parte ci doveva finire. Qui non ce ne sono. Nemmeno una. Solo dolore, sofferenza (declinate in ogni possibile salsa), disillusione. Su tutto il lutto della perdita di identità di un popolo che prima esisteva e dopo non esisteva più. Come in ogni rivoluzione ci sono state infinite vittime e tanti, tantissimi carnefici. Erano mostri? Forse non tutti, no. Ma ogni tanto ti viene il dubbio che l'educazione, l'ambiente o che ne so, la genetica, renda questi popoli quello che sono e che non abbiano via di uscita diversa da quella fornita da alcool e sopraffazione. Eppure rimangono, sotto cicatrici e ferite, poeti, scrittori, artisti, comunque amanti della cultura. Dicono che l'amore per il bello ci salverà. A leggere questo libro non pare realistico sperarci.
Tirando le somme, un libro probabilmente necessario, molto utile se si vuole comprendere la storia degli ultimi trenta anni dell'ex Unione sovietica, ma pesante da leggere. Troppo spezzettato, non ha un chiaro senso logico (le storie sono probabilmente inserite con un senso ma non ho capito quale), è ripetitivo e, a tratti, anche noioso.


Il prossimo mese si commenta Stoner di John Edward Williams.
Ci si vede martedì 14 giugno, solito posto, solita ora.

 

mercoledì 13 aprile 2016

Giornate tranquille...

Siamo cresciuti con un enorme segreto in casa, un segreto del quale nessuno poteva dirci nulla. Cosa era accaduto a tua madre? E a tuo padre? Cosa era accaduto ai loro bambini e a tutti gli altri? Sentivamo che non sarebbe stato corretto domandarlo ai nostri genitori.  Così da una parte  non se ne parlava mai, dall'altra tutti sentivamo che in famiglia c'era un segreto, che era una  molto molto importante  e che non si poteva toccare.
Questo è l'incipit di una bella intervista a Lizzie Doron, autrice del libro che abbiamo discusso nella serata di martedì 12 aprile 2016.

Ci siamo riuniti, come ormai siamo soliti, a casa di Zaffira.
E' stata un'altra bellissima serata dedicata ai libri, allo scambio di idee, e al cibo. Non solo quello che ci ha preparato la nostra ospite, ma anche la squisita Sacher torte che ha preparato Claudio. Buonissima!
Eravamo di nuovo in sette: Marilaura, Rita, Stefania, Monica, Claudio, Cristina e Daniela che si è riunita al gruppo dopo un'assenza di qualche mese. Alla lettura si è unita anche Maria Grazia, la membra berlinese del gruppo, che ha mandato la sua recensione. La trovate, insieme alle altre, in calce a quest post.
Anche se il libro è stato scelto da Cristina dobbiamo proprio a Daniela, che per primo lo ha letto, il libro del mese, Giornate tranquille di Lizzie Doron.

Il libro è piaciuto più o meno a tutti, soprattutto perchè riesce a raccontare la Shoa in maniera originale, dolorosa ma non cruenta, e proprio per questo il racconto è particolarmente incisivo, e la sofferenza dei protagonisti  vera è palpabile. Il libro ha inoltre il pregio di parlare delle conseguenze dell'Olocausto, di come ha dovuto aggrapparsi alla vita chi dai campi di sterminio, dalla guerra, dalla mostruosità che è stato il nazismo, è uscito vivo, almeno all'apparenza, perchè molti, se non tutti i protagonisti di Giornate Tranquille, una qualche parte di se negli eventi che li hanno travolti la hanno persa. Per sempre.
La storia è narrata da Lea, sopravissuta alla guerra vivendo in una buca in circostanze che lei stessa non ricorda. Ricorda solo il proprio smarrimento e la propria paura. La perdita della propria famiglia è tanto più atroce proprio perchè Lea non la ricorda, non ricorda nessuno che l'abbia amata. Portata in Israele non si adatta alla vita nel Kibbutz così accetta di sposare Srulik, più anziano di lei di molti anni. Lo sposa perchè Lea, più di ogni altra cosa, desidera una famiglia: Da dove vieni? Mi domandò…. Non lo so, risposi. Lei capì subito e non chiese altro. Anch’io vengo da là, mi disse… Poi mi chiese cosa avessi intenzione di fare. Una famiglia, le dissi, voglio una famiglia.
Lea e Srulik hanno presto un figlio, ma dopo pochi anni l'uomo muore improvvisamente. Lea viene quindi accolta nel salone di parrucchiere di Zaytshik dove impara il mestiere di manicure e si innamora del suo datore di lavoro. Nel salone di Zaytshik passano tutti gli abitanti del quartiere, con le loro storie tragiche dato che ogni persona è una storia, una storia che nessuno vuole raccontare e nessuno vuole ascoltare.

Se il libro è più o meno piaciuto a tutti più controversa è la figura di Lea, che passa da essere un personaggio che pur spigoloso è molto bello (come per Daniela e Claudio) a essere la suocera infernale (Rita, Monica e Cristina).
Lettura comunque consigliata.

Il resto della serata è proseguito tra chiacchere, consigli letterari e scambi di opinioni. Una bella serata tra amici, insomma, come è ormai nostra abitudine e come speriamo duri ancora per molto altro tempo ancora.
Tel Aviv nel 1963
Ed ecco qui le recensioni su Giornate tranquille:
Maria Grazia, 3 stelline
E' la seconda volta in pochi giorni che mi capita in mano un libro che tratta un argomento che conosco poco, nonostante io abbia letto molto di quanto è stato scritto in merito al nazismo e alla Shoa, vale a dire il destino dei ragazzi e dei bambini, quasi tutti inesorabilmente orfani, emersi dall'orrore.
Non sapevo quindi che quasi tutti questi bambini e ragazzi vennero attivamente cercati da organizzazioni ebraiche, che li trasportarono nel nuovo stato di Israele, dando loro una casa e una famiglia nei kibbuz.
Le giovane Leale però non riesce ad adattarsi alla sua nuova vita, né nel kibbuz né dopo, non riesce mai ad uscire dalla buca nella quale ha trascorso gli anni della guerra, a capire il mondo, a osservare qualcosa al di fuori di se stessa. Persino le persone che dice di amare, non sono reali, perché ne ama la versione che si è costruita di loro. Non si renderà mai conto dell'omosessualità del parrucchiere che si prende cura di lei dopo la morte del marito, non accetterà il matrimonio del figlio con una donna diversa da quella che gli avrebbe scelto lei, persino della morte Lea ha una sua personale versione, persino la morte è per Lea un burattino da far muovere sullo sfondo delle storie fantastiche che lei stessa si racconta.
Libro ben scritto, ma senza alcun barlume di speranza.

Cristina, 3 stelline
Le tragedie raccontate in questo breve libro sono molte, ma la peggiore di tutte è l'incapacità della protagonista di uscire davvero dalla buca nella quale ha vissuto durente l'Olocausto e di aprire gli occhi alla realtà, che non riesce ad affrontare. Mai.
C'è un infinito dolore nelle storie narrate; in realtà dovrei dire suggerite perchè nessuna storia qui è davvero raccontata dato che
Qui da noi, ognuno è una storia, una storia che nessuno vuole raccontare e nessuno vuole ascoltare. Eppure alla fine la storia di ogni personaggio, anche se un pezzzo qui e un pezzo la, è raccontata o comunque si riesce a intuire e, anche se il testo è privo di particolari, risulta raggelante lo stesso.
Restano nel cuore un poco tutti, nella loro tragica umanità violata, ma su tutti ricordo Zaytshik, che non rivela mai se stesso a Lea perche lei non sopporterebbe la realtà, finendo vittima, di nuovo, di una violenza perpetrata inconsapevolmente proprio da chi lo amava ma non lo riconosceva. E' questa la tragedia vera di Lea, la sua incapacità di vedere, veramente, gli altri, anche chi crede di conoscere meglio. Così si nasconde dal dolore, ma anche dalla gioia.
E' un bel libro fino quasi alla fine. Purtroppo quando la storia si sposta dagli abitanti del quartiere alla sola Lea il libro perde lucidità e interesse, avvitandosi sugli sproloqui e le lamentele della protagonista che sempre di più somiglia alla Tipica Mamma Ebrea che viene favoleggiata il libri e film.
Alcune parti sono struggenti, ma altre sono davvero irritanti, rovinando un poco la lettura.

Daniela 4 stelline
Tranquillo, come il suo titolo, delicato, struggente.
Senza tanti giri di parole e descrizioni inutili racconta la vita di una donna e degli abitanti di un quartiere di Tel Aviv tutti sfuggiti all'Olocausto. Nessuno vuole raccontare la propria storia nel lager, ma tutti sanno quale è stata la rispettiva dolorosa sofferenza "tutti abbiamo bisogno di un angolo privato nella nostra vita".
Anche se il personaggio della protagonista non è molto bello, una donna che si appoggia costantemente a un uomo, la predominanza verso il figlio, la gelosia verso la nuora, ecc., come non comprendere i diversi abbandoni che ha subito, sempre nella sua vita, dalla famiglia, al marito, all'uomo che ha amato, al figlio che se ne va in America.
Il dolore che i diversi lutti le hanno causato non possono essere archiviati con un semplice: che donna fastidiosa!
Certo non è una persona amabile, ma il suo grido di dolore è troppo forte per essere messo da parte. Un libro davvero intenso. 
Monica 3 stelline 

Le giornate tranquille sono quelle vissute in un quartiere di Tel Aviv da un gruppo di persone che ruotano intorno al salone del parrucchiere Zaytshik e il suo sogno di trasferirsi in un lussuoso quartiere di Parigi ad acconciare le signore parigine. Invece, in un alternarsi di dolore e ironia, deve “occuparsi” dei suoi concittadini sopravvissuti alla Shoah.
Protagonista, fra tutti, Leale. Una donna che si porta alle spalle una terribile infanzia che non riesce a superare e di cui non vuole parlare. E’ difficile provare empatia per questa donna, innamoratissima di Zaytshik che però, come si scoprirà durante la lettura, non può amarla allo stesso modo. Così come del suo unico figlio che vive in America e che si è pure sposato una viziatissima Americana! E io non vorrei proprio averla come suocera, Leale!
La lettura di questo romanzo scorre via leggera, lieve; in contrapposizione con il dolore che emana il vissuto dei vari protagonisti perché dolori così grandi, non potranno mai scorrere via con leggerezza.



Libro del prossimo mese il corposo Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo del Premio Nobel Svetlana Aleksievic.

Ci incontriamo martedì 17 maggio 2016, alle ore 20.00, direttamente a casa di Zaffira e, se il clima è propizio, prossima volta si chiacchiera sotto le stelle :). Ergo, visto che qui nessuno è più un ragazzino, portatevi la copertina di lana!

domenica 20 marzo 2016

Un libro perfetto per l'influenza :)

Che dire, rubo il titolo a Zaffira che in una frase (pure breve) centra in pieno il senso del libro del mese di marzo che era Il freddo modifica la traiettoria dei pesci di Pierre Szalowski.

Libro che era lieve lieve, pieno di buoni sentimenti e di personaggi un po' stereotipati che alla fine si rivelano buonissimi anche quando sembrano ben altro all'inizio del racconto.
Tra spogliarelliste dal cuore d'oro, laureandi dal la vita solitaria ma pieni di teorie da verificare,  bambini soli, coppie che si disfano, si ricongiungono, si riconoscono e si fanno riconoscere, padri che sono infelici e rendono tali anche i figli ma aspettano solo l'occasione per ritrovare il vero amore e riempire il mondo di gioia e felicità, questo libricino che ha dalla sua il pregio della brevità rischia, spesso, la caduta nel troppo zuccheroso e nel troppo semplificato. Se resti di qua o di là dalla linea sottile (a volte sottilissima) col coma glicemico è questione di gusti. Del lettore a cui finisce in mano, in sintesi, che ci può allegramente annegare dentro in tutta quella bontà, o può ricavarne giustificati istinti omicidi.
Pierre Szalowski

E' un perfetto racconto in stile natalizio, che gronda bontà e buoni sentimenti in cui, alla fine, tutti trovano la loro felicità più perfetta. Perfetto per un periodo un poco giù o per passare in serenità qualche giorno in attesa che l'influenza passi, tra uno sciroppo e un brodino.
Non è che non ci sia piaciuto, anzi. La buona metà di noi lo ha trovato carino e leggero. Purtroppo la semplicità di lettura fa si che sia altrettanto facile dimenticarsi di trama e personaggi. Infatti purtroppo io non me li ricordo già più :)! Vabbè, dai, se vi interessa la trovate facilmente con una semprice ricerca on line.
Non un libro che scateni grandi discussioni, quindi. Anzi! In effetti ne abbiamo parlato piuttosto poco, ma la conversazione è scivolata via veloce tra letture presenti e passate, libri che abbiamo amato e detestato, un breve riassunto di quanto abbiamo fatto nel mese trascorso dall'ultimo incontro e un pensiero a Francesca che anche questa volta non ha potuto partecipare alla serata ma che speriamo tanto ci raggiunga la prossima volta.
Il Coniglietto Pasquale era bello cicciotto! :) Tanti bei libri.
Dopo il lauto pranzo preparatoci da Zaffira ci siamo scambiati i libri che ognuno di noi aveva portato per il Coniglietto Pasquale Libresco First Edition!
A me è andata benissimo, me ne sono arrivati ben due! Chissà se sarà amore alla prima lettura o un veloce passaggio sul comodino!

Alla fine della serata è stato estratto Colui Che Decide Il Libro Del Mese Dopo!
Compito che questo mese cade sulle spalle di Cristina che ha scelto Giornate tranquille di Lizzie Doron.

Ci si incontra martedì 12 aprile, questa volta alle 19.45, al solito supermercato.